L'attivista iraniana Narges Mohammadi, insignita lo scorso mese del premio Nobel per la Pace 2023, ha avviato in carcere uno sciopero della fame per protestare contro la politica del suo Paese che sta rimandando le cure mediche e il trasferimento in ospedale a lei e agli altri detenuti. Mohammadi protesta anche contro l'obbligo del velo per le donne, che negli scorsi mesi aveva animato le proteste di strada in Iran.
Immediatamente i suoi familiari hanno condiviso le loro preoccupazioni tramite comunicazioni ufficiali e condivisioni social. Anche il Comitato norvegese per il Nobel ha comunicato con una lettera firmata dalla presidente Berit Reiss-Andersen di non condividere le scelte rispetto alle restrizioni sulle cure mediche di cui Mohammadi necessita.
Problemi cardiaci e polmonari
Narges Mohammadi è rinchiusa nel carcere di Shahr-e Rey, nella provincia di Teheran, dal novembre 2021, dopo un'altra condanna di cinque anni. Nel giugno del 2022 era stata ricoverata in ospedale dopo delle gravi difficoltà respiratorie e battito cardiaco irregolare. Da quanto è tornata in carcere, racconta il marito, le sue condizioni si sono aggravate, e lo stato iraniano non le garantisce le cure mediche e i farmaci specialistici che le sono stati prescritti e a cui ha diritto. In ospedale l'attivista aveva subito un intervento cardiaco d'urgenza, e in carcere subisce torture e maltrattamenti. Il nuovo ricovero le è stato negato perché Mohammadi si rifiuta di indossare il velo, che per le donne è obbligatorio se vogliono entrare negli ospedali.
La sua famiglia da Parigi ha espresso subito la sua ennesima preoccupazione per la salute dell'attivista. L'ultima segnalazione dei familiari risale ai primi giorni di novembre. Anche gli appelli dell'avvocato di Narge Mohammadi alle autorità giudiziaria sono stati inutili. Ieri la donna ha iniziato uno sciopero della fame, per se stessa e per tutti gli altri detenuti e le altre detenute nelle stesse condizioni.
In carcere perché attivista
Narges Mohammadi, 50 anni, attivista e giornalista, è in carcere ormai da molti anni, da prima delle grandi manifestazioni di piazza a cavallo tra il 2022 e il 2023. Dagli anni Novanta si oppone all'obbligo del velo per le donne iraniane, e lotta contro la tortura bianca e la pena di morte in vigore nel Paese.
È stata arrestata 13 volte e condannata cinque: l'ultima a 11 anni e 11 mesi di carcere, oltre a 154 frustate.
Il suo impegno politico non si è mai fermato, nemmeno in carcere. Mohammadi ha più volte espresso il suo sostegno per le donne in lotta nel suo paese, e nelle ultime settimane era riuscita a far circolare una dedica ad Armita Garavand, una diciassettenne di origini curde uccisa dalla polizia del regime perché non indossava correttamente il velo. È ancora online il video di Garavand che la ritrae, con un taglio di capelli corto e un fare disinvolto, mentre entra nella metropolitana di Teheran e poi viene trascinata priva di sensi fuori dal vagone da più persone. Testimoni raccontano di un acceso litigio con una guardia all'interno del mezzo pubblico che l'avrebbe spinta con forza, causandole un grave trauma cranico.
Mohammadi ha anche mandato messaggi alla popolazione palestinese di Gaza.
Per questi motivi, lo scorso novembre era stata insignita del Nobel per la Pace. Oggi, anche il comitato del Nobel chiede a gran voce che a Mohammadi vengano garantiti i diritti di base: la presidente Berit Reiss-Andersen ha definito "disumano" l'obbligo di indossare il velo per essere ammesse in ospedale.