Cosa significa togliere dalle fotografie i soggetti e lasciare lì, quasi abbandonati a se stessi, gli ambienti domestici e i paesaggi? E perché Michael Somoroff (New York, 1957) ha sentito il bisogno di fare un'operazione così singolare sulle foto di August Sander , ed esattamente su quello che è considerato il suo capolavoro ' Uomini del ventesimo secolo'?
Alla Fondazione Stelline a Milano fino al 7 aprile è possibile ammirare, nella mostra Absence of Subject, sia le foto del grande fotografo ritrattista tedesco, August Sander, esattamente 40, e 41 fotografie rielaborate da Somoroff, ma la cosa più suggestiva sono i 6 video collocati nel piano inferiore, realizzati dal fotografo contemporaneo.
Un'operazione singolare, eccentrica, forse senza senso, quantomeno se ci riferiamo ai parametri comuni del buon senso, ma l'Arte cerca altre strade e del buon senso spesso non sa che farsene.
Il lavoro di decontestualizzazione che fa Somoroff sull'opera fotografica di Sander potrebbe a pieno titolo ascriversi nella categoria del postmoderno, perché la suggestione di lasciare i prati, le scrivanie, i quadri alle pareti, le pentole e i quaderni , con le pagine che si muovono ad ogni impercettibile alito di vento , è unica ed irripetibile. Sembra che sia scoppiata un'atomica. Tutto è intatto, ma il soggetto è sparito. Scompaiono così i bambini di campagna, contadini, cuochi, pianisti, dentisti, banchieri, proprietari terrieri ed infine, proprio nell'ultimo gradino quelli che lo stesso Sander chiama 'gli ultimi', bambini idioti, pazzi, ciechi, malati e moribondi, colti nell'atto di sfogliare grandi libri e di seguire una lezione.
Arriverà poi il nazismo e troverà la maniera di eliminarli. Ma intanto Sander li ha immortalati in due foto che è possibile ammirare alla mostra e che sono state collocate proprio alla fine della sequela.
Sander è nato ad Herdorf nel 1876 ed è morto a Colonia nel 1964, le sue foto risalgono al 1913, al 1924,25,29,1930. Dunque il suo intento era ritrarre quest'umanità tedesca per offrire ai posteri un gigantesco 'portrait' di generazioni falcidiate dalla guerra.
Un lavoro di sociologia, oltre che di ritrattistica fotografica.
Ebbene Somoroff, figlio di un altro grande fotografo, Ben Somoroff, cancella tutti i soggetti, e rimane il vuoto. L'edera rampicante continua a muoversi sul muro, la tenda nella grande stanza bianca oscilla leggera ad un soffio di vento, la bruma sale impercettibile sui campi di campagne sconfinate, persino i grandi libri sfogliati da bambini idioti rimangono lì e le pagine vengono sollevate dal vento, ma l'uomo è scomparso e le mani che spaginano quei libri sono state annullate, è la fine, e con la fine non c'è più storia.
Questo sembra voler dire Somoroff, e un senso di nullità e di assenza pervade questi ambienti.
I sei video che si ammirano nella parte sottostante non fanno altro che mettere in movimento le immagini dei contesti fotografati , e tutto ondeggia in un alito di presenza- assenza, ma la presenza –assenza è solo del vento, l'uomo è scomparso.
Da vedere questa singolarissima mostra, per due ragioni. Si può riflettere sulla Germania dei primi quarant'anni e sulle sue figure professionali, ma si può meditare su cosa sia una casa, un laboratorio, un pianoforte, un libro, senza l'uomo che a quegli oggetti offre la sua anima.