Si è da pochi giorni conclusa la più importante manifestazione dell'intero panorama cinematografico internazionale. La notte degli oscar, col suo carico di "lustrini e paillettes" ha elargito i suoi doni e decretato le sue bocciature; portandosi dietro le immancabili critiche che puntualmente la accompagnano. Da sempre le ambizioni e le aspettative di alcuni ansiosi di veder trionfare questo o quel film vengono, come dire, "tradite" dall'Accademy a favore di altri soggetti ritenuti più meritevoli.

Ma, è risaputo, questo è il grande gioco dello star system di matrice hollywoodiana e bisogna accettarlo per quello che è.

Per quanto riguarda l'edizione di quest'anno, la scelta di premiare con l'oscar come miglior film "12 anni schiavo" di Steve McQueen è stata, indubbiamente, quella giusta. Il film narra la storia vera di Solomon Northup, afro-americano nato come uomo libero nelle vicinanze di New York venne tratto in inganno e rapito da due trafficanti di schiavi, tali Merrill Brown e Abram Hamilton; i quali gli fecero una falsa offerta di lavoro come musicista (Northup suonava il violino) in un fantomatico circo a Washington, dove la schiavitù era legale. Successivamente fu drogato e ceduto al mercante James H. Birch, che lo rinchiuse in una prigione per schiavi identificata in seguito come "the yellow house" in attesa di essere imbarcato su un brigantino e spedito nel sud degli Stati Uniti.

Da quel momento inizia l'odissea di Solomon, un calvario durato ben 12 anni e descritto passo per passo di suo pugno in una biografia pubblicata nel 1853; su cui anche il New York Times, nello stesso anno, dedicò un'intera pagina del giornale alla vicenda.

Tornando al film, di particolare impatto sono i primi 20-25 minuti, nei quali è racchiusa tutta l'essenza del lungometraggio.

La scena in cui Solomon suona una ballata classica con il violino allietando i presenti ad una festa e ricevendo da essi i meritati applausi alla fine; il ritratto di una famiglia felice in una ridente cittadina dove è chiamato "signor Northup" da tutti, come un vero gentiluomo e non negro, bestia o altro sembrano richiamare ad una dimensione surreale, onirica, nella quale Solomon vive serenamente ignaro della sventura di kafkiana memoria che sta per abbattersi su di lui.

Il "risveglio" dalla vita idilliaca di Solomon è concentrato tutto nei pochi attimi in cui, ripresosi dall'effetto della droga, si rende conto di trovarsi in una prigione fatiscente incatenato come un animale. Sarà soltanto la sua straordinaria forza d'animo nel tener a mente chi è e da dove viene, nonostante le sferzate a suon di pagaia da parte dei suoi aguzzini nel tentativo di piegare la sua volontà ai loro voleri, a permettergli di resistere ai lunghi anni della sua schiavitù fino alla sua liberazione.

E come disse Nelson Mandela: "L'oppressore è schiavo quanto l'oppresso, perché chi priva gli altri della libertà è prigioniero dell'odio, del pregiudizio e della ristrettezza mentale. L'oppressore e l'oppresso sono entrambi derubati della loro umanità".