Igor Mitoraj era nato in Polonia nel 1944 e, ventiquattrenne, in pieno '68, si era trasferito a Parigi: nella capitale francese si è spento oggi, a 70 anni. Verrà sepolto a Pietrasanta, città alla quale era legato da decenni e nella quale aprì uno studio nel 1983: la volontà di lasciare le sue ceneri alla Versilia è stata espressamente comunicata dall'artista prima di morire. Un legame, quello con la nostra terra, fortissimo e costantemente alimentato, perché nella nostra Italia Mitoraj vedeva non solo la bellezza e la tradizione artistica, ma anche il luogo perfetto per intessere la sua riflessione sul tempo e sul deterioramento della civiltà rispetto all'eternità sontuosa e inattaccabile della natura: molte delle sue esposizioni sono state allestite nel nostro paese, in luoghi magici come la Valle dei Templi di Agrigento, Tivoli, Firenze, Massa Carrara, Roma.

Ma le sue sculture si trovano tuttora anche in molte altre delle nostre città e a Pisa è ora in corso una mostra dedicata all'artista, dal titolo Angeli, che resterà aperta fino al 15 gennaio prossimo.

Radicato nella tradizione classica, Mitoraj predilesse i soggetti mitologici. Amava realizzare soprattutto teste o busti maschili, spesso di dimensioni gigantesche. Il suo neo-classicismo, però, fu sempre declinato nel senso post-moderno di un'indagine su temi fortemente contemporanei, come la riflessione sul tramonto della civiltà, il ruolo della barbarie nella storia, il potere beffardo e paradossale delle fragilità umane, l'inevitabile caducità tanto delle impalcature storiche e culturali del mondo occidentale, quanto dell'esistenza umana, esposta alla rapacità del tempo e alla sua violenza corrosiva.

E così le sue sculture sono tutte incomplete, monche, sfregiate, ferite. Alla compattezza e all'armonia dei corpi plasmati sul modello classico fanno da contrappunto scavi e rosicchiamenti, alla rettitudine del mito, la caduta e gli sbandamenti di eroi o angeli che non perdono la propria forza evocativa e iconica, ma al contempo s'arrendono al loro destino quasi umano di esseri fallibili e vulnerabili, esposti al saccheggio inesorabile del tempo e alla precarietà della storia.