Dal progressive dei Genesis alla sperimentazione, dalla scoperta dei suoni etnici alla riscoperta del rythm'n'blues. Se c'è un musicista che nel corso della sua carriera ha sempre dimostrato genialità, duttilità, intelligenza, capacità di sperimentare e, nello stesso tempo, di farsi apprezzare anche dal grande pubblico questo è Peter Gabriel. L'artista inglese, che giovedì 20 novembre sarà al Pala Alpitour di Torino e il giorno seguente a Casalecchio di Reno, in provincia di Bologna, è stato protagonista di una carriera esemplare.

Negli anni Settanta scrisse con i Genesis alcune delle pagine più belle del rock con capolavori quali Foxtrot, Selling England by the Pound e The lamb lies down on Broadway.

Abbandonati i Genesis, Gabriel iniziò la sua personale ricerca verso nuove sonorità, più scarne ed essenziali rispetto al rock romantico dei Genesis, e con i primi quattro album solista lasciò di nuovo il segno quale innovatore caratterizzandosi, tra l'altro, per essere stato un precursore dell'introduzione di suoni etnici nel rock e uno scopritore di talenti provenienti da tutto il mondo.

Terminata la fase più sperimentale, nel 1986 con l'album So Peter iniziò una fase di riscoperta di alcune sue vecchi passioni giovanili - quali il rhythm and blues - abbinate a brani più immediati rispetto al passato, ma sempre di gran classe, che gli permisero di estendere la sua già notevole fama e vendere milioni di dischi in tutto il mondo.

E sarà proprio So l'album che sarà celebrato a Torino e Casalecchio di Reno, in occasione dei 25 anni dalla pubblicazione, come già l'anno scorso a Milano.

Dopo So, Gabriel pubblicò altri album più che dignitosi - tra cui Us e Up - anche se la geniale vena compositiva iniziò in parte a inaridirsi. Ma a differenza di altri suoi colleghi, nonostante i ripetuti cambi musicali della sua irripetibile carriera, ha mantenuto una coerenza di fondo.

Pochi giorni fa Gabriel è apparso a Berlino in occasione delle celebrazioni della caduta del muro, dove ha eseguito una versione stravolta e suggestiva di Heroes di David Bowie. Un po' come aveva fatto proprio a Torino, in occasione dell'inaugurazione delle Olimpiadi invernali, quando propose la sua personale rivisitazione di Imagine di John Lennon.

Perché Peter è fatto così: a lui piace sempre cambiare e stupire. Come quando si travestiva in mille modi ai tempi dei Genesis per rappresentare in modo teatrale i testi che scriveva. Come quando lasciò i Genesis per lanciarsi in una carriera solista che nessuno pensava sarebbe stata di così grande successo planetario. Come quando si lanciò con una corda sul compassato pubblico di Sanremo mentre cantava, con il volto dipinto, Shock the monkey. Come quando fu tra i primi musicisti a sostenere la causa dei diritti umani di Amnesty International. Come quando dedicò una canzone stupenda a Stephen Biko, leader degli studenti sudafricani che si battevano contro l'apartheid in Sud Africa, ucciso barbaramente dalla polizia del regime di Pretoria.

Come quando, durante il brano Lay your hands on me, si girava verso il pubblico per lasciarsi cadere di spalle, certo che sarebbe stato sostenuto dai fan.

Ora Peter, invecchiato e ingrassato, non ha più bisogno di stupire. Quello che continua a stupire, però, è la sua meravigliosa carriera. Una carriera a cui tutti coloro che amano la buona musica guardano con ammirazione. Per dire grazie a un artista che ha scritto alcune delle pagine più belle della storia del rock.