La lotta per la libertà ci lascia canzoni, inni, canti popolari che rimangono nella storia e nella nostra testa. "Bella Ciao" è una di queste che tutti conoscono. Tradotta in più di trenta lingue, è cantata durante le proteste e le rivolte in tutto il mondo, come ad esempio nelle manifestazioni contro l'Isis. C'è chi dice che nasca come canzone di protesta delle mondine che si opponevano al fascismo, ma la popolarità della canzone è esplosa solo dopo la seconda guerra mondiale.

"Katyusha", ovvero "Fischia il vento"

La Storia ci racconta che la canzone che è stata sicuramente cantata dai partigiani venuti dalla Russia, o meglio le sue note in quanto le parole erano abbastanza differenti, è stata "Katyusha", ballata sentimentale scritta nel 1938 che narrava di una giovane ragazza e del suo fidanzato che va in guerra per difendere il confine.

Non propriamente un canto di resistenza, fu popolare nell'Armata Rossa, che battezzò con questo nome i lanciarazzi che contribuirono a bloccare l'avanzata dell'esercito nazista. Veniva trasmessa da Radio Mosca, e la sua melodia orecchiabile ispirò Felice Cascione, giovane medico comunista bolognese, a scrivere le parole di "Fischia il vento", che divenne l'inno delle Brigate Garibaldi nel 1944. Parole di ribellione, tradimenti, bandiere rosse, il rovesciamento del fascismo e la futura rivoluzione.

La prima volta

Quello che è ora unanimemente considerato l'inno della resistenza in realtà era cantato, durante la lotta di liberazione, soltanto da piccoli gruppi di partigiani dell'Appennino emiliano, ma la sua diffusione e popolarità sono appunto del dopoguerra.

A Praga nel 1947, alla festa mondiale della gioventù un gruppo di ex combattenti provenienti dall'Emilia intona "Bella ciao". La platea scandisce il ritornello battendo le mani. Nasce in questo momento la leggenda mondiale interpretata da molti artisti, tra i quali Yves Montand.

L'origine

Gli studiosi parlano di "invenzione di una tradizione", con il fascino della canzone attribuito al mistero del suo tema musicale.

Si tratta di una ballata yiddish della tradizione ebraica centro-europea, o un motivo popolare francese del 1500 oppure, ma sarebbe un falso storico, la rielaborazione di una filastrocca del Nord Italia: "La me nòna l'è vecchierella".

Non c'è niente di certo, i musicologi ne stanno ancora discutendo, ma a prescindere da questi dubbi, quel che resta nell'immaginario popolare, è semplicemente un inno che tratta di invasori, di libertà ricercata ed ottenuta, che non è strano calzi di volta in volta contro l'oppressore di turno, sia che si tratti di un'ideologia, di un governo o di una azione terroristica; oppure un estremo saluto ai funerali [VIDEO], come quello di Enzo Biagi e di coloro che hanno combattuto per la Libertà.