In un remoto villaggio nel nord della Turchia, sulle sponde del Mar Nero, la scuola è finita e cinque sorelle corrono in spiaggia a festeggiare: la più piccola, Lale (il suo nome significa "tulipano") è un po' malinconica, perché, il prossimo anno, a scuola non ritroverà la sua insegnante preferita, in partenza per Istanbul. E, come in una pièce di Cechov, anche in questo straordinario film dal titolo 'Mustang', diretto dalla giovane Deniz Gamze Erguven e in uscita in Italia giovedì 29 ottobre, la grande città si staglia lungo l'orizzonte del sogno, come contrapposizione luminosa all'oscura miseria della vita consumata in provincia, nella periferia del mondo, rappresentazione simbolica di un'alternativa possibile alla mediocrità e all'angustia quotidiane, promessa di un'intensità di vivere fantasticata, sospirata, desiderata.
"Tabù" innocenti puniti duramente
Le ragazzine su quella spiaggia giocano coi maschi: sono completamente vestite, ma basta salire a cavalcioni sulle spalle di un compagno di sesso opposto per ingaggiare una lotta tra le onde a far scoppiare lo scandalo: la notizia si diffonde e giunge alle orecchie della nonna e dello zio delle giovani sorelle, quest'ultimo loro tutore dopo la morte dei genitori, che decidono di punire le ragazze, con l'obiettivo di raddrizzare i loro spiriti ribelli e di riallinearli ai codici sociali che vigono in quello spicchio di terra. Le cinque sorelle vengono, così, segregate in casa per un'intera estate e sottoposte a lezioni di economia domestica e cucina, nell'attesa di conoscere le decisioni che lo zio, nel frattempo, prende al loro posto: tra queste, quella fondamentale di chi sposare.
Mustang, l'inno alla libertà di una giovane regista turca
La regista, giovanissima turca residente da 15 anni in Francia (ed è proprio la Francia che il film candida ai prossimi Oscar), non fa di questa sua opera prima, dalla mano e dalla mente così ispirate, un saggio di manicheismo, dividendo con una cesoia affilata il mondo in buoni e cattivi, maschi prevaricatori e femmine vittime di prevaricazione, logiche ancestrali e istanze di modernità: tutto in 'Mustang' è sfumato e con tocco lieve 'problematizzato', mai definitivo e professorale nella visione. La Turchia è un paese eterogeneo, vi vivono donne modernissime ed emancipate e uomini sensibili e complici: nel film non affiora mai il sospetto che i rapporti fra i sessi siano avvelenati da domini immutabili e che gli uomini siano tutti esseri perduti, ostili alla libertà femminile.
Eppure, grattando la superficie, riemergono le incrostazioni ancestrali, i tabù mai estinti. 'Mustang' racconta di un microcosmo, di una piccola realtà sociale senza ambire alla totalità della rappresentazione sociologica: in questo fortino purista della tradizione che è il villaggio in cui le cinque sorelle si ritrovano a vivere le loro infanzie già declinanti nell'adolescenza, vigono immutate gerarchie famigliari e sessuali e la libertà individuale arretra e s'annulla di fronte alle logiche stantie dei codici d'onore. Ma non sempre alla segregazione e alla repressione fisiche ed educative corrisponde l'angustia dei confini mentali ed emozionali: dalla frustrazione e il restringimento del possibile nascono, a volte, l'impazienza di vivere e di cambiare.
È quanto succede alle piccole donne del film e soprattutto a Lale, la cui prospettiva è quella adottata dall'intero film: è lei, tra le cinque, la più decisa a resistere, ad evadere dal perimetro che la famiglia e la società hanno dissodato attorno a lei, pretesa castrazione destinata ad infrangersi lungo le faglie del suo coraggio.