Lo spettatore è avvisato: “Lo chiamavano Jeeg Robot” non è “Spider-man” e non è nemmeno “Jeeg Robot d’Acciaio”. La storia di Enzo Ceccotti – ed è questo forse uno dei lati più innovativi del film co-prodotto da Goon Films e Rai Cinema – è una storia italiana e tutto italiano e dolente è lo sguardo che gli sceneggiatori gettano sul tema già molto esplorato da tanta parte del cinema americano, quello dell’acquisizione dei superpoteri e di tutti i super-problemi che essi comportano come corollario.

La trama in breve

Lo chiamavano Jeeg Robot” è la storia di Enzo Ceccotti, ragazzone di borgata che si arrangia con piccoli furti e che, durante una fuga, finisce intrappolato in un bidone di materiali radioattivi abbandonato nel Tevere.

In un meccanismo ben familiare, è così che Enzo acquisisce la super-forza e la guarigione accelerata, di cui si renderà conto solo in seguito a un tragico incidente – durante uno scambio di droga finito male – che lo fa precipitare dal non piano di un palazzo in costruzione, da cui uscirà miracolosamente indenne.

Nell’incidente muore Sergio, vicino di casa e padre di Alessia, una ragazza con gravi problemi psichici ossessionata dall’anime di “Jeeg Robot d’Acciaio”, i cui destini si intrecceranno con quelli di Enzo. Sarà proprio lei a ribattezzare il protagonista col nome da civile di Jeeg Robot, Hiroshi Shiba, e a spingerlo lentamente a smettere di guardare solo a se stesso e usare i suoi poteri per salvare gli altri.

Da sfondo al film fa una realtà politica in crisi, con una serie di attentati che colpiscono il cuore di Roma nei suoi simboli più rappresentativi, e una criminalità organizzata popolata di individui quanto se non più disperati di Enzo, fra cui spicca l’istrionico ed esagerato Fabio Cannizzaro detto “Zingaro”, ça va sans dire, antagonista designato del film.

Una storia di violenza, emarginazione ma anche riscatto

“Lo chiamavano Jeeg Robot” non ha niente delle grandi saghe cinematografiche patinate a cui siamo abituati. Dimenticate i facili moralismi, le conclusioni consolanti: avere dei super-poteri non basta a Enzo per riscattarsi da una vita di emarginazione e abbrutimento, passata fra furtarelli arrangiati e serate a base di vasetti di yogurt e film porno – le uniche due costanti di un appartamento scarno e quasi privo di suppellettili.

Per cambiare Enzo dovrà fare i conti con la realtà disperante che lo circonda, fatta di criminalità, periferie degradate e vite spezzate – come quella di Alessia, che nonostante gli orrori conserva un candore quasi infantile. Come quella dello stesso Fabio, crudele e capriccioso ma ben consapevole dello squallore in cui vive, squallore da cui vuole fuggire a tutti i costi, mettendo a repentaglio la vita dei suoi stessi scagnozzi.

I superpoteri sono solo una scusa per parlare d’altro, un mezzo per riscattarsi da una vita fatta di umiliazione e sofferenza. Il tema stesso dell’acquisizione dei superpoteri e soprattutto delle responsabilità che comportano viene affrontato in modo originale, con un’introspezione profonda e convincente su Enzo, che dovrà affrontare prove durissime per capire fino in fondo cosa fare dell’occasione che gli è stata offerta e di un’umanità finalmente riscoperta anche e soprattutto grazie ad Alessia.

Lo chiamavano Jeeg Robot” è un’ottima prova del cinema italiano, un capolavoro di neorealismo che si intreccia in modo originale e tutto peculiare al nostro contesto con il filone supereroistico. Sicuramente un’avventura che merita la visione.