È un trionfo. Cinque minuti di applausi a scena aperta per un Gigi Proietti istrionico, che ha dominato totalmente in solitaria il palco di legno del “Silvano Toti” Globe Theatre di Villa Borghese, in una delle repliche che da giorno 8 al 17 luglio lo vedono nei panni di Edmund Kean nell’omonima opera di Raymund FitzSimons.

La struttura in legno del Globe Theatre romano – omaggio all’originale teatro elisabettiano distrutto in un incendio nel 1614 – contribuisce poi a rendere ancora più magica l’atmosfera di una serata che è una lunga celebrazione di Shakespeare e di cosa significhi essere un attore di teatro.

Chi è ‘Edmund Kean’

Edmund Kean non è solo un noto attore di teatro – vissuto fra il 1787 e il 1833 – famosissimo per le sue interpretazioni nelle tragedie shakespeariane e per essere stato una figura di rottura che ha portato nel mondo del teatro un nuovo modo di recitare, meno compassato e rigido, ma più emozionale e trascinante, ma anche una pièce teatrale che nel 1983 Raymund FitzSimons scrisse e fece portare in scena all’attore Ben Kinglsey. In due ore di monologo serrato, rivestendosi anche dei panni dei protagonisti più iconici del teatro shakespeariano – da Otello ad Amleto a Riccardo III a Shylock – Edmund Kean parla di sé, della sua vita sregolata, dei suoi successi e dei suoi drammi privati e lo fa mettendo a nudo tutta la sua miseria, il suo cinismo, ma anche la sua grandezza di impareggiabile interprete.

Gigi Proietti che, con successo e con i complimenti dello stesso FitzSimons che aveva assistito alla sua messa in scena, aveva già fatto suo il ruolo nel 1989, nella tre giorni al Taormina Film Festival, torna a interpretare Kean – lontano dai ruoli brillanti a cui ci ha abituato eppure semplicemente ottimo anche nell’interpretare con tagliente ironia la vita tragica e decadente di un artista che sembra incarnare al meglio il detto “genio e sregolatezza”.

Da Arlecchino a Shakespeare passando per la miseria

Sono due ore serratissime – se non si conta il breve intervallo fra primo e secondo atto – quelle in cui Gigi Proietti si muove sul palco da solo, ma sembra una scena popolatissima quella che si presenta davanti allo spettatore. Parla, Proietti, nei panni di Kean: parla alla moglie, che gli chiede soldi per nutrire i figli affamati; inventa scuse per le amanti prepotenti; si indigna come se l’impresario teatrale fosse lì di persona a invitarlo ad accettare patti che dall’alto della sua presunzione ritiene assolutamente contro natura.

È trascinante e piacevolmente spiazzante, Proietti, mentre tira dal pubblico risate su risate mettendo a nudo la tronfia supponenza di Kean, che si bea dei suoi successi; e poi getta tutti nella tristezza e nell’orrore, quando dimostra la sua incapacità di salvare la vita a un figlio gravemente malato o quando fa trapassare le sue confidenze nelle parole di un Machbeth che descrive la tortura del suo animo dopo aver compiuto i suoi efferati omicidi.

La tragedia, nella voce, nei gesti e nelle espressioni di Proietti si fa satira feroce contro lo stesso personaggio che interpreta, ne rende al meglio tutta la miseria, con una sincerità disarmante che scatena non empatia, ma compassione in chi guarda.

Quando le luci tornano ad accendersi sull’ultimo atto della vita ormai spezzata di Kean, l’applauso sorge spontaneo e lunghissimo, e c’è solo da prendere atto che di interpreti grandiosi come Gigi Proietti ce ne sono in giro davvero pochissimi.