absolute beginners è il titolo del libro di carlo massarini, giornalista musicale noto per le sue seguitissime trasmissioni televisive e radiofoniche in Rai.
In 280 schede vengono narrate le origini del rock, dove tutto è iniziato e come si è evoluto quel fermento musicale che ha gettato le basi per numerose altre derivazioni sonore che noi oggi conosciamo. Personaggi celebri, storie di vita vissuta e canzoni indimenticabili sono il condimento speziato di quello che è uno studio analitico e doveroso nei confronti del rock. Da un primitivo blues al boogie woogie poi trasformatosi in rock’n’roll.
Dalla beat generation al classic rock. E li ci si ferma. Perché l’origine del rock è questa. Tutto ciò che ne è derivato dopo è un’altra storia, di cui un giorno, magari il buon Carlo ce ne parlerà.
In un’era social, dove tutto è proiettato verso la facile e immediata fruibilità di un prodotto e non più di un progetto musicale, dove basta un video per scoprire intere discografie, vedere concerti come in prima fila, quanto è importante oggi, parlare di musica?
È vero che si trova tutto l’inimmaginabile sul web ma bisogna saper contestualizzare i fatti per capire cosa abbia rappresentato la musica in un dato momento storico. A me piace l’idea di storicizzare per offrire una prospettiva tridimensionale a chi, determinati eventi li ricorda male o non li conosce affatto.
E’ un po’ il senso del mio libro e credo sia importante il ruolo di gente come me che in qualche modo faccia da guida.
Prima si compravano i dischi “a scatola chiusa” affidandosi alle recensioni lette in precedenza sui giornali. Oggi i gruppi stessi creano siti web dove raccontare tutto ciò che vogliono far sapere di sé. Come vedi il ruolo del giornalista musicale e quali caratteristiche dovrebbe avere oggi per eccellere?
Prima, comprare dischi era un rito. Tornavi a casa, mettevi l’album sul giradischi, abbassavi le luci, ti sedevi comodo e ti concentravi sui testi con i fogli in mano. Oggi l’ascolto è sicuramente più distratto per via delle numerose interazioni interne ed esterne dovute alla vita quotidiana. L’intensità emotiva e la conoscenza musicale sono molto diverse da allora.
Si ha una conoscenza più ampia (film, biografie scritte, cd con note aggiuntive e pezzi inediti) che necessita ugualmente di esser selezionata.
Il ruolo del giornalista musicale non è molto dissimile da quello di trent’anni fa, salvo naturalmente che i mezzi di comunicazione e il materiale a disposizione sono completamente diversi. Per fare questo mestiere ci vuole innanzitutto passione, che è quella che ti permette di stare sul pezzo isolandoti da ciò che c’è intorno, fatica compresa. Inoltre serve competenza: bisogna sapere di cosa si stia trattando anche in un ambito “frivolo” come quello di chi si occupa di musica. Non deve mancare la determinazione in ciò che si fa e la consapevolezza di se stessi.
Dagli studi in medicina alla conduzione di un programma radiofonico in RAI. Come è successo?
Studiavo medicina alla Cattolica di Roma quando conobbi in un negozio di dischi, Paolo Giaccio, da cui partì la collaborazione al programma “Per voi giovani” su Radio2 grazie alla mia bravura nel tradurre i testi inglesi. Così, dall’anno dopo (nel marzo del ’71) non mi sono più fermato pur continuando inizialmente a dare esami. Lavorare in radio mi garantiva quel minimo di autonomia economica che, a differenza della professione di medico, avrei avuto dopo almeno dieci anni di studio. Quando poi mi sono ritrovato con 4 libri di Patologia Generale da imparare a memoria, ho capito che non fosse più quello il mio mestiere.
Oggi, ti vedi più come giornalista o storico musicale?
Io mi vedo come una persona che ama fare cose diverse. Scrivere libri e fare radio ma anche occuparsi di progetti innovativi in campo medicale, tecnologico. Mi viene molto difficile pensare che farò per sempre quello per cui tutti mi conoscono. Andrò in altre direzioni ma è troppo presto per parlarne.