Francesco Meoni, attore e regista dello spettacolo, ci narra la storia in prima persona, impersonificando i due musicisti che tanto hanno dato alla storia della musica. E’ stata la terza replica, visto i successi delle precedenti edizioni, andata in scena nel piccolo ma elegante Teatro Due di Roma, zona Piazza di Spagna. Meoni è accompagnato dalla sua band, che in maniera impeccabile ripropone alcuni dei più conosciuti brani dei Buckley. Un connubio teatro-musica-concerto veramente ben amalgamato e fluido, che ha incontrato tutti i favori della critica.
Una storia emozionante, bellissima e struggente, che unisce in quasi identico destino i due favolosi musicisti.
Di padre (Tim Buckley)
Meoni inizia con raccontare la storia del padre. Il palco è piccolo, ma crea un’atmosfera intima e riesce a contenere anche gli altri membri della band, ben cinque. Tim Buckley nacque nel febbraio del 1947 e come disse Lee Underwood, uno dei suoi collaborati, “Buckley fu per il canto ciò che Hendrix era per la chitarra, Cecyl Taylor per il piano e John Coltrane per il sassofono”. La sua anima è folk, la sua voglia di sperimentare e provare è immensa. Non avrà nessun successo commerciale, come invece voleva la sua casa discografica ed il suo manager, Herb Cohen.
Rimarrà un cantautore di nicchia, per pochi fan. Anche nella vita privata non avrà molte gioie. Rapporti pessimi con sua moglie Mary. Suo figlio Jeff nasce proprio due giorni prima dell’uscita del suo primo album (Tim Buckley, 1966). Ma sarà poco presente nella sua vita. I racconti di Meoni sulla vita privata di Tim e Jeff sono memorabili, come le interpretazioni dei suoi grandi successi (‘Song to the siren’, ‘Once I was’, ‘Blue Melody’).
L’alcool, l’eroina, la depressione, prenderanno poi il sopravvento e lo sovrasteranno.
In figlio (Jeff Buckley)
Lo ha vissuto poco suo padre Jeff, troppo impegnato con la mente, immerso totalmente nella sua musica e nella voglia di sperimentare. Ma con qualche bel ricordo, breve ma intenso, raccontato sapientemente da Meoni.
Jeff si definì non cantautore, ma chitarrista. Forse per prendere le distanze da quel padre che molto lo aveva fatto soffrire. Anche quando suonò per il concerto tributo a Tim, ‘Greetings from Tim Buckley’, organizzato a New York nella primavera del 1991, disse che sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe suonato i brani di suo padre. Ma per Jeff il successo ci fu. Con il suo primo album, ‘Grace’, ha venduto più di quanto non abbia fatto Tim sommando tutta la sua discografia. Meoni e la sua band interpretano un’emozionate ‘Grace’, la title-track dell’album, ‘Dream Brother’ e la struggente cover di Leonard Cohen ‘Hallelujah’. Fu come un fulmine Jeff nel mondo della musica, anche lui tragicamente ed incidentalmente scomparso troppo presto. Tim Buckley morì a 28 anni per overdose di eroina e alcool. Jeff aveva 30 anni, annegò nel Wolf River. Due musicisti indimenticabili, divisi nella vita ma uniti in un tragico destino.