La musica riserva sempre grandi sorprese. Una di queste è Maurizio Scandurra, giornalista e press agent d'importanti artisti italiani, voce controcorrente sempre più richiesta dai principali media quando serve un parere schietto, e al vetriolo, sulla discografia made in Italy. Maurizio Scandurra ama definirsi 'un visionario competente' per via di un’ampia e solida cultura che spazia a 360 gradi in ambito promozionale, sociologico, ma anche economico e giuridico.

Praticamente ogni nuova leva che ascoltiamo in radio arriva da un talent, quasi fosse l’unica strada per avere visibilità.

Come si è arrivati a questo punto?

Ribadisco un’amara verità: la discografia è malata. Il diabolico connubio con la tv e, specialmente, con quella marchiata Maria Di Filippi e X Factor, fa sì che il concetto di canzone sia stato completamente demolito. "Tabula Rasa", per dirla con un brano di Gaetano Capitano, il migliore del disco di Ilaria Porceddu. I talent sono ciò che, negli anni '90, era il 'Karaoke' di Fiorello: programmi che inducono nelle masse la convinzione che tutti possano cantare. Diventano scorciatoie temibili. Nei piano bar c’è gente migliore. La sera preferisco leggere. Consiglio a tutti “Il Rullante Insanguinato” del giornalista Lele Boccardo, gran bella penna: ha scritto un avvincente noir musicale che racconta di grandi batteristi e tribute band.

Hai citato Ilaria Porceddu, anche lei un'ex partecipante di un talent (X Factor, prima edizione). Cos'ha di speciale questa artista?

La cantautrice sarda è una gioiosa eccezione, interpreta canzoni di grande spessore (lo dice anche Mario Luzzatto Fegiz, decano di tutti noi critici musicali), lontane anni luce dalle banalità immonde ai limiti della decenza che escono dalle bocche stonate del 99% di tutti coloro che fanno talent.

A differenza loro, però, Ilaria ha tutte le carte per restare perché ha dei seri contenuti. Mentre di tutti gli altri ci ricorderemo la sparizione, veloce come un lampo (ride). Sono certo che quest'affermazione regalerà un sorriso al caro amico e collega Michele Monina, che stimo tantissimo.

Tra tutto questo 99% di 'bocche stonate uscite dai talent', come le hai definite, quali sono proprio le peggiori?

Ciò che mi chiedi di fare equivale a sparare sulla Croce Rossa: i loro volontari servono realmente a qualcosa, le bocche stonate di cui parlo in generale invece proprio a nulla. Stimo Marco Mengoni, l'ultima grande voce prima del nulla. Gli consiglio di cercare però più sé stesso, evitando di rincorrere il mood musicale di Tiziano Ferro.

Puoi fare i nomi di quelli che pensi stiano affossando l'attuale panorama musicale italiano.

Mettiamola così... non comprerei mai un disco di Chiara Galiazzo, piuttosto mi drogo di suonerie telefoniche (chi ha orecchie per intendere, intenda). Non capisco a che cosa serva Emma Marrone, quando l'erede di Gianna Nannini dal 2005 a oggi è indubbiamente la grande Laura Bono.

Artista credibile e ingiustamente estromessa dai giri della 'discografia che conta' per troppo tempo. Il suo ingresso ne Le Deva nobilita tutto il gruppo, sdoganandolo positivamente dal marchio dei talent: una nuova girl band frutto dell’estro del giovane e capace Manuel Magni, manager artistico e discografico 3.0. Poi c’è Alessandra Amoroso. Brava, per carità, ma canta cose trite e ritrite firmate dagli stessi autori che scrivono per tutti i talent (eccezion fatta per Elisa): così i dischi sono equiparabili a prestampati industriali. Poi vengono i The Kolors, Dear Jack, Bianca Atzei, Elodie, Sergio Sylvestre, Lorenzo Fragola, Alessio Bernabei, eccetera: preferisco tacere. Michele Bravi? Forse pensa di essere Noemi?

Cerca sempre la stessa mimica facciale e lo stesso tono di voce. A questo punto, meglio la scimmia di Francesco Gabbani.

Chi salvi, tra tutti?

Noemi e Giusy Ferreri. Hanno due timbri che riconosci subito. Due artiste dotate d'identità e personalità, al di là del fatto che piacciano o no.

Perché, secondo te, il pubblico si identifica in Emma Marrone e Alessandra Amoroso, e le premia con vendite costanti da quasi 10 anni?

Emma Marrone e Alessandra Amoroso sono due facce della stessa medaglia, gli opposti delle umane emozioni. Rispettivamente la grinta e la dolcezza, il rock e il pop. I giovani d'oggi ce l’hanno col mondo e sono per lo più emotivi. Mango è seguito da un pubblico di romantici e raffinati, Renato Zero, invece, da sognatori ma anche da sconfitti, emarginati e dimenticati.

Il cantante diventa, dunque, lo specchio di un'anima, di una condizione sociale. Gli idoli mutano al mutare dei tempi e del gusto.

Mango, una gravissima perdita per il mondo della musica. Cosa pensi che abbia lasciato?

Mango fa rima con poesia, bel canto, sperimentazione vocale strumentale e testuale. E, soprattutto, con garbo, delicatezza ed eleganza. Ciò che oggi manca alla musica. Tant'è che nessuno, da quando è scomparso, ne ha seguito le orme e gli insegnamenti. C'è chi, con grande talento e onestà, ci sta provando: parlo di Cleò, l'artista misterioso che canta in rete senza mostrarsi. Basta andare su YouTube e ascoltare di che cosa è capace per rendersene conto da soli, in attesa di avere un suo inedito.

Parliamo di Sanremo. Qual è il tuo pensiero sull'ultima edizione.

Il Festival di Sanremo è la cosa più assurda e illogica che c'è: è come pensare a un bambino nato vecchio, a una casa che ha il tetto al posto delle fondamenta. Mi spiego. Una volta Sanremo era un traguardo: ci si arrivava dopo aver maturato sul campo, concretamente, successi e popolarità. Oggi Sanremo è diventato, per dirla con un'espressione matematica, inversamente proporzionale: le carriere partono da Sanremo, e lì restano. Il triennio di Carlo Conti che cos'ha portato, oltre ad aver terribilmente irritato a ragione Al Bano, Gigi D'Alessio e Ron per via delle immeritate squalifiche subìte in gara? Dischi che non vendono (Mannoia, Gabbani, Paola Turci, Ermal Meta a parte, 4 su 22 big, un po’ poco!), singoli che non decollano (pochissimi resistono in radio), ma ascolti da record, unica cosa d'interesse per la RAI.

Sanremo deve rialzare la testa, arrivarci è una conquista e non un'ovvietà solo perché si è fatto un talent.

E, secondo te, di chi è la colpa?

Mi meraviglio di come persone intelligenti, quali i tre presidenti delle tre major, ovvero Alessandro Massara (Universal Music), Marco Alboni (Warner Music), Andrea Rosi (Sony Music), continuino ad investire solo su giovanissimi, strabelli, se fighi ancora meglio, che cantano tutti la stessa canzone. La musica italiana, nel nostro paese, fattura appena circa 160 milioni di Euro all'anno, allo stato attuale, e questo, lo dico da economista, oltre che da giornalista, proprio perché nessuno pensa ad ampliare il mercato con un'offerta rivolta a target del tutto trascurati e ignorati, ma dalla maggiore capacità di spesa pro-capite: 35-40-50enni, 60-70enni, che continuano ad andare a teatro a seguire i cantautori e gli artisti di sempre, ma che da anni non comprano un disco perché vittime di proposte artistiche che hanno per protagonisti solo artisti giovanissimi, mentre per quelli più in là negli anni non c'è attualmente più spazio.

L'Italia è il paese demograficamente più vecchio del mondo: a comprare musica non è neanche il 30% della popolazione. Perché oggi nessuno pensa a costruire una proposta artistica in linea con il gusto dei fan di Mango, Fabrizio De André, Lucio Battisti, Lucio Dalla, Matia Bazar, Pino Daniele, ad esempio?

Secondo te chiuderanno i talent e, se e quando succederà, cosa capiterà all'industria musicale?

I talent cesseranno quando abbasseremo la saracinesca della mediocrità, della superficialità, della stereotipia musicale che fa rima con omologazione dei contenuti, uniformazione dei testi, globalizzazione dei suoni. Quando riapriremo invece con coraggio la porta della qualità, dello scouting in giro per l'Italia senza passare per la tv, della capacità di riconoscere un talento indipendentemente da quanti anni ha, dall'aspetto fisico, dal numero di visualizzazioni su YouTube o dai "mi piace" su Facebook.

Michele Monina e Red Ronnie hanno già predetto la fine dei talent: due o tre anni al massimo non di più, aggiungo io. Meglio ricordare la lezione di Caterina Caselli…

Vale a dire?

Andare a cercare come fa da sempre con la sua Sugar Music in giro i talenti veri e trasformarli in successi concreti e duraturi, come si faceva una volta. Basta con stupidaggini tipo il fare numeri sul web che pagano una stagione, forse due, ma non di più. Stop a successi facili, canzonette estive e tormentoni alla Fabio Rovazzi, J.Ax e Fedez, Marracash e Gué Pequeno e loro altri colleghi che potrebbero fare a meno di "cantare" come Emis Killa, Salmo, Sfera Ebbasta, Raige, Ensi, Fabri Fibra, e chi più ne ha più ne metta.

Vera musica e grandi voci, oggi del tutto assenti, ma, soprattutto, la voglia di scommettere su artisti capaci di durare nel tempo. Come Vasco Rossi, Luciano Ligabue, Tiziano Ferro, Laura Pausini, Giorgia, Mina, Loredana Bertè. Non di certo come Benji e Fede: che, se si prendessero una laurea. Avrebbero, almeno, un futuro assicurato. La musica usa-e-getta non paga nel lungo periodo, se non c’è un vero talento, una solida preparazione e una dura gavetta. Tanto nella musica come nella vita.