Esce l'8 febbraio, nelle sale italiane, "Ore 15:17-Attacco al treno", il nuovo film di Clint Eastwood, che ripercorre fedelmente quanto accaduto nell'estate del 2015, durante un tentato attacco terroristico sul treno Thalys, diretto da Amsterdam a Parigi. E quando si scrive che la vicenda è riportata "fedelmente", bisogna intenderlo davvero alla lettera: i protagonisti, infatti, sono le stesse persone che erano presenti su quel convoglio, e che hanno eroicamente contribuito a sventare l'attentato.

Spencer Stone, Alek Skarlatos e Anthony Sadler, i tre ragazzi americani che si sono avventati contro l'uomo armato, sono anche gli autori del libro da cui è stata tratta la sceneggiatura e, nella pellicola, interpretano loro stessi.

Ma non sono i soli: anche l'uomo ferito da un colpo di pistola, sua moglie e l'uomo d'affari britannico che ha aiutato a mettere fuori combattimento il terrorista sono interpretati dai reali protagonisti della vicenda.

Una scelta singolare, quella di Eastwood, che mescola e confonde il piano della realtà con quello filmico, il documentario con la fiction biografica, i non-attori che interpretano se stessi con i professionisti che interpretano i loro familiari e gli altri personaggi della storia.

La trama

"Ore 15:17-Attacco al treno" parte inframmezzando il racconto degli attimi che precedono l'intervento dei tre giovani a quello dei flashback della loro infanzia, di come si sono conosciuti a scuola, dei problemi che avevano, della loro amicizia che dura da sempre.

Le scene sul treno sono brevi e concitate, giusto il tempo di intuire che sta per succedere qualcosa di grave. L'attenzione di Eastwood si sofferma sul prologo, a sottolineare l'amore per la guerra dei due, Spencer e Alek, che poi si arruoleranno nell'esercito: il loro background profondamente religioso con la scuola cattolica; i problemi delle mamme single, l'assenza dei padri; il loro legame che permane nonostante gli spostamenti; il loro sentirsi via Skype quando sono ormai cresciuti nonostante uno si trovi in Afghanistan, l'altro al centro di addestramento e il terzo, l'unico non militare (Anthony) all'Università.

Intervallato da altri brevi flash dell'attacco al convoglio, il racconto del loro passato comune procede con le tappe del viaggio che li porta in Europa: prima in Italia, poi in Germania e infine ad Amsterdam. E qui il destino entra in scena, anche se il sentore che fosse parte in causa lo avevamo già avuto quando Spencer, affacciato sui tetti di Venezia, confidava ad Anthony la sua sensazione che la vita lo spingesse verso qualcosa, come verso uno scopo più grande.

I tre protagonisti - a breve - eroi stavano meditando di far saltare la tappa di Parigi e restare ad Amsterdam un giorno in più. Alla fine però salgono sul treno (fortunatamente per tutti i passeggeri) ed il resto è storia: riescono ad essere le persone giuste al posto giusto (che peraltro avevano pure cambiato, spostandosi in prima classe senza incappare in controllori particolarmente rigidi che li rispedissero nel corretto vagone), e il loro intervento provvidenziale sventa quella che sarebbe potuta essere un'orribile strage. Seguono gli onori della cronaca, nonché un interminabile discorso di Hollande, l'unico che - pur interpretando se stesso - sembra un attore che recita male.

I lati positivi del film

I tre protagonisti, Spencer, Alek e Anthony, sono sbalorditivi: talmente credibili da sembrare attori consumati, diventano quasi inquietanti quando ci si ferma a pensare che stanno recitando non semplicemente se stessi, ma loro stessi in quello che, presumibilmente, è stato uno dei momenti più traumatici della loro esistenza. Altrettanto inverosimile la capacità dell'uomo che è stato ferito, e di sua moglie, di rivivere la scena della sparatoria come se non l'avessero vissuta in prima persona.

Spencer, in un'intervista a "Hollywood Reporter", ha affermato che mentre stavano girando la sequenza dell'attacco al terrorista e del ferimento del signore francese che per primo aveva cercato di disarmarlo, ha provato la "sensazione di essere andato indietro nel tempo", e di essere di nuovo a bordo del Thalys quel 21 agosto.

La confusione tra realtà e finzione è quasi disorientante. Da una parte ci sono rimandi alla fiction, sottolineati dalla presenza di attori piuttosto noti al pubblico televisivo, come Judy Greer ("Californication", "Modern Family", "The Big Bang Theory"), Jenna Fischer ("Six Feet Under", "The Office"), Jaleel White (lo Steve Urkel di "Otto sotto un tetto"), ma anche dall'insistenza con cui uno dei protagonisti, Anthony, immortala continuamente ogni momento del loro viaggio con dei selfie. Dall'altra c'è la consapevolezza che Eastwood ci sta permettendo di osservare come le cose sono davvero andate, dandoci un posto in prima fila dinanzi al consumarsi del dramma sventato.

I lati negativi

Certe sottolineature un po' retoriche, come il fatto che Spencer (colui che alla fine compie il gesto maggiormente eroico) fosse invece da sempre considerato come una persona che non porta mai a termine nulla, ed anche abbastanza una testa calda: nel corso di un'esercitazione durante l'addestramento, si fa prendere in giro da un'insegnante e da tutta la classe per aver disobbedito agli ordini e, invece di nascondersi, ha cercato di rispondere all'attacco armato solo di una penna biro.

Sembra voler dire: "Visto? Lui che veniva considerato un 'imbecille' (il termine è più forte, ma ve lo lascio immaginare) dalla gentile ed educata istruttrice, in realtà è stato bravo a non seguire la cautela e ad avventarsi contro il terrorista armato!".

Anche la sua battuta sul sentirsi chiamato verso qualcosa di più grande - non fosse che lui poi l'abbia fatto sul serio - suona un po' come se gli si volesse a tutti i costi cucire addosso il ruolo dell'eroe predestinato.

Se fosse fiction, si direbbe che, dopo tutto il crescendo iniziale, il momento dello scontro dura poco e che c'è troppa poca azione per l'aspettativa che si era creata. Tuttavia, trattandosi di un episodio realmente accaduto, si è contenti che sia finita lì, con una colluttazione infervorata e due dita che fermano un'emorragia.

Hollande: con tutto il rispetto, troppo enfatico, e con quella sua attitudine a sembrare sempre fuori posto che fa sì che, per i primi minuti in cui compare sullo schermo, ci si chiede ripetutamente se si tratti di un sosia. Poi inizia a parlare e si capisce che no, è proprio lui.

Bilancio totale

Incerto. Manca qualcosa, e non è chiaro se sia voluta l'associazione alla fiction televisiva (quegli show in cui i protagonisti recitano se stessi, ma ci si chiede sempre quanto siano così davvero e quanto stiano semplicemente recitando). I ragazzi sono bravi, eroi veri, il film è asciutto e ben narrato, ma permane un retrogusto di reality show che rende il giudizio finale difficile da dare. Si esce dalla sala perplessi, anche in merito al genere che si è guardato: documentario? Film biografico? Un altro discorso noioso di Hollande?