Dal 22 marzo esce nelle sale italiane Tonya, il biopic (termine tecnico per indicare un film sulla vita di una persona realmente esistita, da utilizzare senza moderazione per fare un figurone tra gli appassionati di cinema) interpretato e prodotto da Margot Robbie, la Harley Quinn di Suicide Squad.

Ispirato dalla storia di Tonya Harding, che forse alcuni (non i più giovani) ricorderanno ancora per il clamore suscitato dallo scandalo che precedette le Olimpiadi Invernali del 1994 in Norvegia: una delle due star del pattinaggio artistico statunitense (Tonya Harding, appunto) apparentemente cospirò per far rompere il ginocchio dell’altra, sua eterna rivale, Nancy Kerrigan, poco prima della qualificazione alle Olimpiadi.

L’episodio era senza precedenti e portò agli onori della cronaca la controversa figura della Harding, fino ad allora conosciuta esclusivamente dai seguaci della disciplina, anche per essere stata la prima statunitense ad eseguire il difficilissimo triplo axel (in pratica una tripla piroetta in volo). Ritenuta colpevole di complicità in giudizio, le venne preclusa ogni possibilità di continuare la sua carriera di pattinatrice sul ghiaccio, ma l’opinione pubblica rimase divisa tra chi la considerava una spietata manipolatrice e chi pensava fosse vittima del manesco marito. I, Tonya, nel titolo originale, ripercorre la vita della Harding, concentrandosi in particolare sugli eventi che hanno portato al “fattaccio” e dando nuova luce alla bistrattata protagonista.

Tonya ha ricevuto diverse nomination ai recenti Oscar - miglior film, migliore attrice protagonista, miglior attrice non-protagonista – aggiudicandosi la statuetta per quest’ultima categoria grazie alla strabiliante performance di Allison Janney, nel ruolo di LaVona Golden, la madre abusiva della pattinatrice.

La trama di Tonya

Girato in parte come fosse un documentario, con le (finte) interviste fatte a posteriori ai personaggi principali della vicenda, Tonya oscilla tra la black comedy sarcastica e sopra le righe e il dramma toccante, che ci porta a simpatizzare con la pattinatrice.

Nelle scene iniziali ritroviamo una Margot Robbie invecchiata ed imbolsita (grazie al make-up, si rassicurino gli estimatori della sua beltà) che con gli occhi spalancati da pazza ci racconta la sua versione della verità: “gli “haters” mi dicevano sempre “Tonya, dì la verità!” Quale verità?

Non esiste una cosa come “LA” verità!”.

Il film si basa esplicitamente sulle testimonianze “prive di ironia e violentemente contradditorie” dei protagonisti: oltre alla Harding, sua madre, il suo ex-marito Jeff Gillooly (Sebastian Stan), e, ad un certo punto, l’inverosimile ed inverosimilmente somigliante al reale amico del marito nonché bodyguard di Tonya, Shawn Eckhardt (Paul Hauser) – vedere i filmati con l’autentico Shawn negli after-credits per credere.

Ognuno di loro racconta una “sua” verità: Tonya quella di una bambina abusata fisicamente e psicologicamente dalla madre, picchiata dal marito, maltrattata dalla federazione del pattinaggio che le preferiva atlete più “convenzionali”; sua madre LaVona quella di una donna che al prezzo di enormi sacrifici ha mantenuto la famiglia, aiutato la figlia a diventare una campionessa, ed infine si è vista da lei rifiutata e ingiustamente accusata di ogni male; il suo ex-marito Jeff, quella di qualcuno incolpato di cose che non ha mai commesso, descritto come carnefice ma in realtà più vittima, della ex-moglie, della stupidità del suo amico, delle circostanze.

E poi, vabbè, Shawn, che afferma di essere un esperto internazionale di controspionaggio, di essere stato contattato per dare consigli sul terrorismo, e deliri vari di questo genere.

Nonostante quindi il presupposto iniziale sia “non esiste una sola verità”, appare abbastanza evidente che è il punto di vista di Tonya ben presto a prevalere: seguiamo in flashback la sua vita, da quando la madre spinge un’allenatrice di ice-skating a prenderla come allieva a soli 4 anni, a tutte le volte in cui la rimprovera aspramente (anche solo per aver parlato con un’altra bimba, sui pattini come lei, “non devi parlare con lei, lei è il nemico!” le sibila LaVona), o la umilia (presentandosi con lei al suo primo appuntamento col futuro marito), o diventa violenta (lanciandole contro addirittura un coltello, ultima goccia che spinge la giovane ad andare via di casa).

Siamo con lei nei primi momenti del suo matrimonio, quando ancora il marito pare dolce e premuroso, e quando neanche troppo lentamente si trasforma in un altro abusatore, violento, invidioso dei suoi successi (specialmente dopo che riesce ad eseguire il triplo axel). Assistiamo alle sfuriate di Tonya contro l’associazione pattinaggio, rea dal suo punto di vista di non darle i punteggi che merita perché influenzata dal suo modo di presentarsi, privo della classe altera e da “signorina bene” delle altre pattinatrici – in particolare proprio della sua antagonista Nancy, dal volto angelico di una principessa Disney. E simpatizziamo, perché lei mette la musica di ZZ TOP o della colonna sonora di Batman e Jurassic Park (e non quella solita, classica); perché si fa cucire i vestiti dalla madre, o da sola, e, ok, magari sono un po’ sovraccarichi, ma sicuramente non banali; perché quando le riesce un salto fa delle facce ed esulta in un modo che è davvero l’opposto del glaciale e sobrio atteggiamento delle altre “Ice Princess” che tanto sono apprezzate dalle giurie e dall’associazione di figure skating.

Fino ad arrivare all’epilogo finale, con quella banda di sconclusionati messa in moto dall’ex-marito e dall’amico bodyguard, che paiono un film parodistico stile “piccoli mafiosi crescono”, o Goodfellas (Quei bravi ragazzi), a cui infatti spesso il film è stato paragonato. Pare talmente l’opera di qualcuno che ha inavvertitamente innescato un effetto domino che poi non sa più come fermare, che il commento di Tonya (esagerato, come sua abitudine) sull’incidente occorso a Nancy (“Nancy è stata picchiata? Beh, anch’io!”, quante storie!) ci trova quasi – stranamente - d’accordo e non ci sembra nemmeno più così cinico e inappropriato. Fa sorridere, via, non inorridire – come virtualmente dovrebbe.

I lati positivi del film

Spesso i biopic sono delle sorte di agiografie, “santificano” i protagonisti rischiando di divenire noiosi: Tonya è tutt’altro: divertente, a tratti cinico, sopra le righe, a volte toccante, spesso emozionante. Sorprende sempre, ritraendo abbastanza bene la contraddittorietà degli attori principali della vicenda.

Le performance di Margot Robbie e di Allison Janney sono (entrambe) da Oscar.

La Robbie si trasfigura, lei che in origine avrebbe piuttosto le “physique du rôle” per interpretare la “principessina” Kerrigan: diventa grossolana, energica, a tratti irriconoscibile, con gli occhi spiritati. Travolgente. La Janney (che l’Oscar l’ha preso) riesce nel difficile compito di essere credibile ma non risultare (del tutto) antipatica, con quella sua attitudine “Mbè?

Che ho fatto di male?” che strappa, al di là di ogni logica ed empatia, un sorriso. Nonostante tutto e tutte le sue colpe.

I lati negativi di Tonya

Probabilmente il fatto che, pur se l’intento esplicitato era quello di non prendere posizione, uscendo dal cinema si è portati a riabilitare totalmente la Harding e quasi a considerare Nancy Kerrigan, la vera vittima, come un’antipatica perfettina, una “signorinella-bene” che alla fine, magari non se lo sarà meritato, comunque… La sua figura, che all’epoca era stato quasi glorificata come l’esempio di virtù, la povera martire della strega cattiva e pure un po’ volgare (Tonya), rimane nello sfondo per tutto il film e finisce per risentire dell’identificazione inevitabile dello spettatore con il ruolo della Robbie.

Si perdono quindi, nonostante il buon proposito iniziale, quegli aspetti contradditori e non chiari fino in fondo che permangono attorno alla vera Tonya Harding - il cui effettivo coinvolgimento nella vicenda dell’assalto a Nancy resterà probabilmente per sempre non definibile.

Bilancio totale

Positivo: bel film, bravi interpreti, buona rievocazione del periodo storico, con tanto di canzoni anni’80-’90 ed orride capigliature. Ottimo equilibrio tra aspetti divertenti e drammatici, anche. Se forse pecca nel dare a Cesare ciò che è di Cesare, e ad ogni “vittima” della situazione il suo giusto ruolo (con conseguente “risarcimento”, anche solo emotivo) bisogna tenere a mente che si tratta di un film, non di una ricostruzione storica o di un tribunale per ottenere giustizia.