L'idioma "parola" deriva dal greco "parabolè", poi divenuto in latino "parabola" e, per evoluzione fonetica, è stato alterato in "paraula", sino a giungere a "parola". Essa rappresenta un'espressione orale o scritta che ha lo scopo di veicolare un'informazione, di realizzare o rappresentare un'idea.
Una parola detta
L'utilizzo della parola nel quotidiano è divenuta quasi un'azione priva di valore etico e morale. Durante una comunicazione, una relazione interpersonale, viene a mancare il giusto peso della parola, senza ricordarsi del suo vero significato, agendo per quotidianità ed abitudine sia nella vita reale che sui social.
Ciò che concerne una parola è un qualcosa che spesso non viene mai insegnato, e non si viene educati o sensibilizzati ad un uso proprio dei giusti termini.
È con questo scopo, difatti, che l'associazione no profit "Parole O_stili" ha ideato un manifesto di dieci "regole", affinché il cittadino possa essere responsabilizzato nell'uso della parola, senza creare ostilità: educare il prossimo a porre una giusta misura alla terminologia utilizzata, sia nel reale che sui social.
I punti proposti dal manifesto attraversano diverse tematiche inerenti sempre alla comunicazione, come l'importanza del silenzio, l'uso della parola come un ponte, scegliere i giusti termini che possano rappresentarci, la rilevanza data non solo alle proprie parole ma anche a quelle altrui, e via discorrendo.
Un approccio indicativo per rendere la comunicazione meno ostile e più civile, che permetta una conseguenza meno violenta nella vita quotidiana.
L'utilizzo del "logos"
Secondo Heidegger, il parlare corrisponderebbe ad un conservare e ad accogliere ciò che viene detto, e dunque un ascoltare, ponendo in correlazione due verbi greci: "lego" e "leghein".
Nella filosofia analitica, il linguaggio comprendeva tre piani: quello sintattico (il piano logico riguardante le regole con cui vengono a comporsi le parole), il piano semantico (i segni linguistici nei confronti del loro significato), ed infine il piano pragmatico (l'uso dei segni linguistici nei rapporti intenzionali tra gli uomini).
Wittgenstein parlò dell'ineffabilità del linguaggio, e di come esso sia una qualità del nostro essere. Se siamo le parole dai noi dette, il linguaggio da noi utilizzato, perché permettiamo la morte del nostro senso civico, morale ed etico, utilizzando delle semplici parole?
Molto spesso non conosciamo il vero significato del termine di cui ci avvaliamo, fraintendendo così ciò che è stato detto e che si vuole dire. Le parole sono delle "armi" disponibili sui dizionari, in grado di lesionare la psiche umana. Ci affibbiano termini insulsi che agli occhi degli altri diventano verità e, a seguire, lo sarà anche per i nostri. Viviamo in un mondo dove la parola di una persona conta più della nostra, soprattutto se esprime un giudizio. Lasciamo che gli altri ci usino come carta su cui scrivere parole, senza pensare che i primi a dover scrivere siamo noi.