Quest'anno il piano culturale "Creativa 2020. I talenti delle donne" del Comune di Milano propone il lavoro di Grazia Varisco con una retrospettiva a Palazzo Reale in cui si ricostruiscono i 60 anni di ricerca e progetto basati sulla sensazione multisensoriale e traslati in attivi background propulsivi.

La rassegna espositiva "Grazia Varisco IL CASO. Tra le pieghe della mente" si potrà visitare dal 14 luglio al 6 settembre.

La mostra di Grazia Varisco

Viene presentato uno studio visivo e tridimensionale sul tema dello spazio e delle sue geometrie attraverso una selezione di sculture ed installazioni dell'artista milanese.

Grazia Varisco è una figura centrale dell'Arte cinetica-visuale e programmata italiana sin dagli inizi degli anni Sessanta, capace di indagare percezioni correlate allo spazio e al movimento.

Nasce a Milano il 5 ottobre del 1937. Allieva di Achille Funi, svolge attività di grafica per la Rinascente, per la rivista Abitare e per Kartell. Nel 2017 la Triennale di Milano dedica una mostra al suo percorso artistico. Le sue opere figurano in musei e collezioni pubbliche e private in Italia e all'estero, fra cui la Galleria nazionale d'Arte moderna di Roma, il Museum of modern art di New York e il Centre Georges Pompidou a Parigi. Nel 2018 l'artista riceve il premio Feltrinelli per le Arti visive.

Dimostra una creatività che le permette di ridurre l'arte ad un elemento essenziale con il suo stile minimalista, verificandone "l'ortografia" attraverso l'utilizzo di una particolare grammatica di lettura dello spazio.

Le opere di Varisco sono spazi ospitati, ma che al contempo ospitano.

Ed è così che si viene avvolti dalla circolarità spaziale di opere come l'installazione Oh! (1996), costituita da due elementi in ferro che, occupando lo spazio della galleria, dialogano con una tridimensionalità reale o illusoria. Opere che, riflettendo il concetto di pieno e vuoto, interagiscono, si dispongono o roteano, allineandosi a creare un orizzonte, che seppur accennato guida la disposizione nello spazio e lo sguardo lungo un percorso di "casualità programmata".

Pensando a orizzonti lontani talvolta a delle onde in perfetto stile marinière, la fantasia prende il largo. Persino lo spagnolo Pablo Picasso, amante delle righe, più volte si fece ritrarre con la sua maglia navy mentre navigava con il pennello. La fantasia segue una logica? No, però c'è una logica che segue la fantasia. ("E non c'è niente di più bello dell'istante che precede il viaggio, l'istante in cui l'orizzonte del domani viene a renderci visita e a raccontarci le sue promesse" cit.

Kundera).

Il caso e l'inaspettato possono essere terra di esplorazione. L'aspetto lusorio è l'elemento "locomotiva" perché è un metodo di analisi inconsueto, che percorre rotte inusuali e "circumnaviga" il disponibile spazio visibile.

Al centro della sala si erge lo Gnom-one, two, three (1984), scultura oversize composta da tre elementi metallici che, partendo da forme quadrate bidimensionali, tramite la loro piegatura si "ancorano" come degli elementi che delineano e ospitano lo spazio sagomandolo, ma senza riempirlo.

Predominano infatti le linee curve e gli ampi contorni curvilinei rientranti o talvolta prominenti. Sono sottili ed essenziali, oppure lavorate, scultoree, con echi classici, orientaleggianti o ultramoderni (a seconda dell'ambientazione e della articolata struttura tridimensionale).

Racchiudono una tangibilità incorporea, un esempio di levità, "trasparenza" ed inconsistenza; sembrano fluttuare come quelle dell'astrattista geometrico russo Malevic, sospese ad un filo invisibile, senza un inizio né una fine, dando un senso di infinito e di continuità, nonostante siano nettamente separate tra loro e talvolta interrotte. Lo scopo estetico viene così appagato, cavalcando il più appropriato ritmo ipnotico nel rispetto delle regole del distanziamento tra di esse. Sequenze di linee apparentemente semplici, ma che in realtà semplici non sono. Talvolta si tingono di un rosso rubino che ricordano le "zip" del minimalista ed espressionista astratto Newman.

La meditazione nelle opere di Grazia Varisco

Le opere devono essere viste come un tutto e non come un insieme di parti, in quanto interagiscono in modo perenne con l'architettura e gli ambienti della galleria. Talvolta gli scenari sono così ricchi d'atmosfera che non serve aggiungere sovrastrutture mentali, ma basta lasciarsi andare ad un'osservazione "in punta di piedi". È come per la meditazione: parte da un silenzio visivo che, risvegliandosi, ci permette di "leggere" gli spazi dove viviamo, dove si creano le relazioni. L'artista articola l'intera composizione in modo tale da dare l'impressione di farla vibrare ritmicamente e di muoverla in varie direzioni, a seconda di come la guardiamo.

Le installazioni di Grazia Varisco

Le sue installazioni giocano con la geometria "smontandola" come farebbe un enfant capricieux (bambino capriccioso) che si diverte a scapigliare un ordine eccessivo e pedante. Si parte sempre da un certo lato "inflessibile" (una linea retta, un quadrato, un cerchio) che viene fatto vacillare e diventa così irregolare. Nell'opera OH! (1996) la piega dialoga con la tridimensionalità e un semplice cerchio diventa un accesso da oltrepassare.

Oltre alla piega, elemento dinamico che interrompe e destabilizza l'equilibrio ottimale ma statico, nelle sue composizioni Varisco introduce delle diagonali.

Il dettaglio dell'installazione è il tratto distintivo, sembra fendere in profondità la parete o l'ambiente circostante, dalla quale affiora per definire l'ampiezza della soglia minimal, invitando a varcarla.

Una cornice décor di grande intensità comunicativa in grado di ispirare la struttura caratteriale del living, consentendo di sfruttare al meglio sia le funzionalità decorative, sia la capacità di dilatare lo spazio. Un uso di quest'ultimo che talvolta incorpora anche due superfici piane, riflettendo le teorie di un movimento nato negli anni Sessanta, il post-painterly abstraction. Talvolta la luce "rimbalza" sulle forme e le "insegue", fluendo in un alternarsi di pieni e vuoti. Queste ultime luccicano, danzano, si abbracciano in un movimento che delinea un patchwork geometrico. Il perenne aprirsi e chiudersi in pieghe centripete, oltre che centrifughe, si allontana dall'apparenza decorativa per congiungersi forse nella soluzione di una forma "latente" che denota come l'opera dell'artista, nel suo insistere sul tema della piega che si ripiega all'infinito, come fosse un plissé, si protende sempre e verso un'altra realtà.