Facile demonizzare Kim Jong Un ed etichettarlo, con un refrain che si ripete periodicamente con tutti i dittatori, da Saddam Hussein a Gheddafi passando per Assad e Khomeini, nella categoria dei pazzoidi. Era già stato fatto con Kim Jong Il, il padre, e, sebbene in misura minore perché meno “problematico” all’estero, con Kim Il Sung. In realtà sono ben pochi coloro i quali conoscono realmente la politica nordcoreana e i retroscena che fanno da impalcatura alle dichiarazioni, alle azioni dimostrative e di forza del regime di Pyongyang.

L'investitura

Quando, nel settembre 2010, l’allora sconosciuto Kim Jong Un venne presentato ufficialmente come probabile successore del padre, pochi avrebbero scommesso su una sua prolungata presenza al vertice del potere. Giovane (non ancora trentenne), apparentemente inesperto, Jong Un venne insignito del titolo di tejang, un grado militare equivalente a quello di generale a quattro stelle, inferiore a soli tre altri gradi di generale (sojang, general maggiore, jungjang, vice generale e sangjang, generale-colonnello) e a quattro gradi di maresciallo (chasu, vice maresciallo, wonsu, maresciallo delle Forze Armate, konghwaguk wonsu, maresciallo dell’Esercito Popolare e dae wonsu, grande maresciallo).

Nel dicembre 2011 la morte improvvisa di Kim Jong Il venne vista da molti come il preludio della fine della dinastia famigliare dei Kim in Corea del Nord. La formazione politica del futuro leader non era stata completata e i militari, forti della politica songun (“prima i militari”) che aveva contrassegnato il corso del regime di Kim Jong Il, controllavano le organizzazioni più importanti del Paese.

Ma il defunto Grande Leader aveva preparato l’avvicendamento blindando il figlio in un fortino difficilmente attaccabile e difeso dalle personalità di spicco di sicura fedeltà famigliare. Kim Jong Un ha poi mostrato un’insolita abilità nel gestire il potere e nel manovrare a suo piacimento le pedine della scacchiera nordcoreana.

I primi cambiamenti al potere

Dopo un periodo di assestamento, durante il quale i cambiamenti rispetto al precedente regime sono stati relativamente pochi, ha iniziato, nel 2013, a muovere i suoi pezzi da novanta. Il giro di boa è avvenuto all’inizio del 2013, quando alla songun è stata sostituita la politica del byungjin, “sviluppo parallelo” che prevede non più una nazione in cui economia e politica sono a servizio dei militari, ma in cui lo sviluppo nucleare corre di pari passo con quello economico. Sembra un controsenso: come può una nazione, già provata economicamente, sostenere un programma costoso come quello nucleare (a cui si collega direttamente quello missilistico) e al tempo stesso progredire economicamente?

In realtà un senso la politica del byungjin l’ha. Anzi, più di uno e dimostra che Kim Jong Un non è lo sprovveduto bamboccione mezzo pazzoide e mattacchione dipinto dai media al di fuori dal Paese. A differenza della songun, che non gerarchizzava progetti e quindi sovvenzionava a pioggia i diversi comparti militari, la byungjin predilige la ricerca nucleare, concentrando così i finanziamenti sui piani finalizzati al conseguimento della bomba termonucleare o, come spesso viene chiamata, bomba nucleare miniaturizzata. È questo il motivo per cui, dal 2012, la costituzione nordcoreana è stata emendata e la Corea del Nord è diventato a tutti gli effetti uno stato nucleare. L’individuazione di un obiettivo ben preciso ha permesso l’avanzamento del programma atomico in modo estremamente accelerato ottimizzando le risorse economiche, umane e logistiche.

Gli effetti della byungjin

Questo si è tradotto in un risparmio nel bilancio della Difesa del 2-3% annuo che è stato dirottato sullo sviluppo economico e sociale della Corea del Nord. Ma l’effetto più importante, e meno evidente per chi non si occupa in modo approfondito di Corea del Nord, della byungjin è l’allontanamento dalla vita politica dei militari. Nonostante che la nazione subisca ancora un pesante controllo delle forze armate, è evidente che i generali siano sempre più relegati nelle zone periferiche del potere e sostituiti da civili. Non burocrati o semplici funzionari di partito, ma tecnocrati ed economisti, molti dei quali formatisi a contatto con i mercati stranieri.

La lenta, ma costante, sostituzione delle leve del potere, ha avuto un importante conferma nel giugno 2016 quando la Commissione Nazionale di Difesa (CND), che assieme al Dipartimento Organizzativo e di Orientamento del Partito dei Lavoratori di Corea è il principale organo di controllo del Paese, è stata sciolta e al suo posto è stata costituita la Commissione degli Affari di Stato.

Una rivoluzione, come appare anche dal nome (in Corea del Nord i titoli delle commissioni vengono scelti con estrema attenzione e danno già l’indicazione del ruolo che le agenzie andranno a ricoprire). La Commissione degli Affari di Stato elimina ogni riferimento al songun di cui era permeata la CND, ma non solo: ha versato gran parte del potere sul piatto della bilancia dei civili. Se nella Commissione Nazionale di Difesa vi erano sette militari su dieci membri, nella Commissione degli Affari di Stato i militari sono solo quattro su tredici membri. Per giungere a questo risultato Kim Jong Un ha dovuto sacrificare parte del suo entourage, in primo luogo quel Jang Song Taek che, con il suo comportamento e le sue manipolazioni per allontanare i rivali dal Dipartimento Organizzativo e di Orientamento e dalla Commissione Nazionale di Difesa, da lui dominate, aveva creato un forte malumore tra la nomenclatura non solo per partito, ma anche delle forze armate, rischiando di creare i presupposti per un Putsch.

Gli inaspettati alleati di Kim Jong Un

Kim Jong Un, dunque, sta giocando al meglio le sue carte aiutato anche da inaspettati “alleati” come la Corea del Sud e la Russia. La prima sempre più preoccupata per un’ “arma di invasione di massa” (per dirla con le parole di Kelly Greenhill, professoressa alla Tufts University di Medford, Massachusetts, specializzata in politica dei flussi migratori) che scoppierebbe nel caso di un crollo improvviso del regime. La seconda, invece, attenta osservatrice della politica nordcoreana e ansiosa di giocare un ruolo sempre più importante nell’Estremo Oriente.