"I soliti sospetti" ("The usual suspects") è un film del 1995 diretto da Bryan Singer. La banalità della sua trama agisce in modo impercettibilmente solido come architrave d’un edificio narrativo dall’apprezzabile coesione. Un peschereccio, usato come corriere della droga e attraccato al porto di Los Angeles, è teatro di un'orrenda carneficina. Un macabro agguato, uno spietato spargimento di sangue che culmina nell’esplosione della barca clandestina. Stantia coerenza cui Singer non sembra affatto volersi ritrarre. Il piccolo e invalido malvivente Roger "Verbal" Kint viene fermato dalla polizia doganale in qualità di persona coinvolta nei fatti.

Nel corso dell’interrogatorio, l’agente David Kujan acquisisce una massa di informazioni tale da concludere che il fermato sia in realtà un piccolo pesce manipolato dai veri autori della strage.

L'interrogatorio

Nelle parole coartate di Verbal, il poliziotto trova conferma ai suoi sospetti. Il quadro prende forma col passare dei minuti e in una sorta di ritmata riduzione all'impossibile Kujan fa chiarezza nella sua testa e su tutta la scena del crimine. Per quanto lo sgraziato Verbal cerchi di coprire qualcuno, è evidente come quel qualcuno abbia un nome preciso. Sebbene egli neghi l'evidenza, tutti i fatti raccontati hanno intima direzione verso un'indubitabile verità: l'esistenza in carne ed ossa di un responsabile assoluto del delitto.

Sospetti confermati

Costui è Dean Keaton, un ex poliziotto compagno di rapine di Verbal ed altri malviventi. Grazie a questo apollineo smascheramento il film è praticamente compiuto. Si ha dunque l'impressione di essere al cospetto di un'opera dal modesto valore, la cui banalità, come detto, si risolve nel coeso ma consumato copione del poliziotto illuminato in grado di smascherare le menzogne del sospettato.

In realtà, mancano ancora 5 minuti. E sono quei 5 minuti a consegnare il film di Singer all'immortalità dell'arte cinematografica.

L'insospettabile mitologia del male

Il leggendario mostro autore dei peggiori delitti ed appena acceso dei connotati di Dean Keaton perde, con incedere vorticoso e inesorabile, quei caratteri risolutivi di cui Kujan aveva appena finito di riempirlo.

Il terrificante dubbio dell'errore sbatte dapprima contro la sicurezza ancora gongolante dell'agente per sopprimerla poi con procedimento ineluttabile, immagine dopo immagine, lettera dopo lettera. Lo storpio Verbal si rivela sceneggiatore infinitamente più potente del Singer ammirato fin qui. Il piccolo invalido costruisce un palazzo letterario attingendo dalle idee cubitalmente stampate su ogni documento e oggetto presente nell'asfittica stanza di Kujan. Il pesciolino traccia con omerica astuzia il solco della corrente dalla boccia al mare. In perfetto stile epico, è proprio l’aguzzino a sancire con fiera inconsapevolezza l'evasione di colui che è a tutti gli affetti il mostro mitologico oggetto ultimo delle ambizioni del poliziotto.

Singer dirige l'assoluto

È questo colpo di scena così argutamente endemico eppure insospettabilmente lontano dal suo tessuto narrativo, a rendere "I soliti sospetti" una di quelle pellicole capaci di fermarsi nel rarissimo spazio dell'assoluto estetico. Spazio che molti film, capolavori unanimemente riconosciuti, hanno solo sfiorato senza fermarvisi del tutto. Perché l'assoluto estetico raggiunto da Singer è un paradosso, una specie di ossimoro, una cometa in un cielo irradiato di sole. C'è e non c'è e se c'è, quando c'è, "come niente, sparisce".