Haruo è un bambino nato alla fine degli anni '80 in Giappone. Haruo ama i videogiochi, ama Street Fighter II, ma ben presto si ritroverà ad amare anche una ragazza, Ōno. Peccato che Ōno ami anche lei i Videogiochi, ami Street Fighter II e sia molto più forte di lui. Bel dilemma per il giovane protagonista di Hi Score Girl, manga scritto e disegnato da Rensuke Oshikiri e diventato poi anime su Netflix. Haruo è costretto a scegliere se conquistare la gloria vestendo i panni di Guile o se cedere alle frecce di cupido scoccate dal petto villoso di uno Zangief estremamente letale nelle mani della sua amata.

Orgoglio, tenerezza e onore si intrecciano in questa dolcissima love story ambientata tra i cabinati delle popolarissime sale giochi degli anni 90, un luogo dove l’amore non era mai esistito prima e l’imperativo assoluto era sempre lo stesso: vincere anche a costo di giocarsi la dignità con la suprema tecnica proibita del Guile turtling.

La via del gamer guerriero

Per chi ai tempi ancora non abitava la nostra Terra, ricordiamo che, negli anni '80 e '90, i videogiochi non godevano della stessa popolarità di oggi. Anzi, la cultura occidentale di massa spesso li associava ai perdigiorno, agli sfigati, a quelli che il termine nerd se lo sono sentiti appioppato quando non godeva ancora delle accezioni positive di cui gode oggi.

Al contrario, in Oriente le cose erano ben diverse: le sale giochi giapponesi erano molto più frequentate delle nostre e i videogiocatori avevano una migliore considerazione generale.

La sala giochi era una sorta di luogo mistico, fatto di eroi, lacrime, sudore e sacrificio; un tempio sacro anche per il giovane Haruo e tutti gli sfidanti al titolo di campione di Street Fighter II, i cui sconti erano (e sono tutt’oggi) una questione piuttosto seria, da sempre regolati da un rigido codice etico: la legge non scritta è tacitamente condivisa da tutti e il suo compito è quello di regolare qualunque disputa riguardo tattiche scorrette o colpi considerati proibiti da alcuni personaggi giocabili.

Infrangerla significa perdere qualunque tipo di rispetto, ma di fronte a un avversario impossibile Haruo è pronto a sacrificare l’onore del suo Guile e giocarsi il tutto per tutto.

Amore e Guile turtling: combo letale

Capello biondo a spazzola, tuta militare, "Sonic boom!": basta questo per descrivere Guile, icona simbolo del franchise Street Fighter al pari di Ryu e Ken.

Ma per Haruo l’americano virtuale è molto più, è uno spirito guida, il riflesso della sua anima di guerriero, il luogo dove risiede la radice più profonda della sua morale di gamer; eppure basta poco per tradire ogni ideale quando, dall'altra parte del cabinato, gli si para davanti uno Zangief imbattibile, capace di eseguire la screw piledriver a ripetizione senza problemi. La responsabile di quello scempio sulla pelle del duo Guile/Haruo è Ōno, una ragazzina con 29 vittorie consecutive, un'avversaria troppo pericolosa da avere tra i piedi. Così, dopo appena due match persi, il nostro eroe è già pronto a spogliarsi di ogni residuo di dignità ricorrendo alla più scorretta delle tecniche a sua disposizione: il Guile turtling.

Questa mossa, oltre a ricoprire di disonore chi la utilizza, consente di rendere il proprio Guile quasi immune a ogni attacco, tenendo la levetta del joystick inclinata verso una diagonale bassa in guardia costante e rispondendo repentinamente ad ogni attacco con una delle due tecniche speciali di Guile (backflip e sonic boom). Tra lo sconcerto generale degli spettatori Haruo consuma la sua patetica performance in piena trance agonistica. Alla fine dello scontro, i destini do Haruo e Ono saranno intrecciati.

Quasi un documentario sulla storia dei videogiochi

Importante sottolineare come, nella serie, ogni riferimento ai videogiochi, ogni data di uscita delle consolle, ogni minima caratteristica o meccanica di gioco descritta è reale, così come ogni singolo comando che Haruo memorizza in maniera maniacale e ripete nella sua mente fino all'ossessione, e ogni dettaglio sulla storia di Street Fighter.

Oltre a rivelarsi una scelta narrativa perfettamente funzionante, l’intera opera finisce per assumere i tratti di un piccolo documentario sulla storia dei videogiochi e su alcune situazioni tipiche vissute dai gamer degli anni '80 e '90, memorie piacevolissime da ripercorrere attraverso la voce entusiasta di Haruo.