Uscire dall'euro o restarci? La Grecia da tempo minaccia o rischia di dover uscire dall'euro, e anche in Italia ci sono forze politiche che vedrebbero di buon occhio l'uscita del nostro paese. Perché la questione euro non è solo un problema monetario, è soprattutto una questione politica. Torneremo nelle prossime settimane sul concetto di moneta, sulle sue origini e sulla evoluzione che la moneta ha avuto in Europa. E ci torneremo perché la questione è di grande attualità, considerato che l'Euro sembra essere passato in pochi anni da mezzo per il sicuro sviluppo delle nazioni aderenti, a causa principale dei problemi attuali e delle crisi che caratterizzano per gran parte i paesi di quell'area.

Se, supponiamo, con un euro comprassimo una mela a Ventimiglia e solo mezza mela a Nizza, sarebbe evidente che una delle due monete risulterebbe svalutata rispetto all'altra, pur essendo nominalmente uguali. Cioè, sulla carta la moneta è la stessa, ma spesa in due paesi diversi che avessero livelli di prezzo diversi, derivanti da strutture economiche e finanziarie diverse, avrebbe un potere di acquisto diverso (nell'esempio in questione una compra il doppio dell'altra).

Nella zona Euro succede qualcosa del genere: paesi con economie diverse, strutture diverse, inflazioni diverse, regimi fiscali diversi, mercati bancari, assicurativi e finanziari diversi, si trovano a dover condividere una moneta nominalmente unica ma realmente stritolata in economie molto disomogenee.

Queste differenze gli economisti le studiano e le hanno studiate anche allora, al momento della adesione da parte dei Paesi candidati al sistema euro, indicando quali di questi Paesi fossero adatti ad unirsi perché presentavano caratteristiche abbinabili e cicli economici potenzialmente integrabili senza grossi problemi. Di quegli studi ci parla molto bene Luigi Zingales nel suo recente libro "Europa o No" (Rizzoli), evidenziando come nel 1995 ci fossero in sostanza tre gruppi di Paesi così composti: il primo costituito da Austria, Belgio, Irlanda , Svizzera, e Olanda con economie molto sincronizzate con la Germania; un secondo con Paesi non sincronizzati ma con elementi di convergenza cioè Italia, Grecia, Portogallo, Spagna e Svezia; e un terzo gruppo formato da Regno Unito, Finlandia, Norvegia, Danimarca e Francia non sincronizzati e non convergenti.

Di questo ultimo gruppo due aderirono all'euro, e, nota Zingales: "Non è facile spiegare perché la Finlandia aderì, ma per la Francia sappiamo che si trattò di una decisione politica, non economica".

L'Europa uscita da due guerre mondiali e da una guerra fredda aveva ragioni e urgenze politiche che sovrastavano le esigenze economiche.

Contrariamente a quanto si possa pensare, l'euro è stato partorito dalla politica, non dall'economia. Economicamente parlando forse ci sarebbero stati motivi per avere una costruzione dell'area euro diversa, magari più lenta, a partire da un gruppo di paesi omogenei che poi potesse allargarsi gradualmente agli altri. Ma le ragioni politiche hanno portato alle decisioni che conosciamo, e alla situazione attuale in cui una Banca Centrale muove politiche monetarie unitarie su terreni economici non omogenei. Ora,ad esempio, la Grecia, che per altro ha poco più degli abitanti della Lombardia (gli ordini di grandezza in economia sono importanti) se uscisse dall'euro avrebbe grossi problemi per sé, e allo stesso tempo i Paesi rimasti non si troverebbero, in virtù di questa uscita, in un'area euro molto più omogenea o equilibrata. Forse l'area euro risulterebbe più equilibrata se ad uscire fosse la Germania, economicamente parlando. Ma politicamente cosa accadrebbe?