Alcuni operatori americani iniziano a temere un dollaro troppo forte che potrebbe arrivare a penalizzare le esportazioni e si chiedono quanto il dollaro si rafforzerà: la risposta sarà data dai mercati finanziari che però risentiranno delle decisioni che saranno prese, il 29 aprile, dal "Federal Open Market Committee" (FOMC).

Il comitato deciderà se aumentare o lasciare invariati i tassi di interesse che influiscono sui rendimenti delle obbligazioni in dollari. In altre parole, i governatori stabiliranno se ridurre la liquidità monetaria disponibile (per evitare l'inflazione) oppure lasciarla invariata.

Un noto economista, il Dr. Ed Yardeni, ha riassunto sul suo blog (Dr. Ed's Blog, 11 marzo 2015), le possibili opzioni: "Il punto è che la Fed ha un problema. Il FOMC raramente considera l'impatto del dollaro sull'economia statunitense. L'argomento non viene discusso quasi mai nelle riunioni del FMOC. I membri del comitato dovrebbero dare più peso al rafforzamento del dollaro nelle loro decisioni. Per il resto dell'anno hanno tre opzioni: possono agire per dirigere la politica monetaria, alzando quest'anno i tassi di interesse solo poche volte. Un'altra soluzione è una volta sola. Oppure non fare niente. Ritengo che le ultime due soluzioni siano più probabili di quella di dirigerla perché il dollaro continuerà a rafforzarsi se la Fed non fa un passo indietro".

Yardeni ha infatti considerato che, da quasi un anno, il dollaro è in rialzo (+ 20% da giugno 2014): alcuni economisti ritengono che tale rafforzamento è, nei fatti, già equivalente ad un aumento dei tassi di interesse di mezzo punto percentuale.

Detto altrimenti, già da un anno il dollaro forte protegge gli Usa dalle pressioni inflazionistiche esterne.

Siccome la prima opzione potrebbe provocare anche una pericolosa caduta delle quotazioni sui mercati azionari, le soluzioni più appropriate resterebbero:

A) "One and done": un solo rialzo dei tassi con un certo rafforzamento del dollaro.

E' la posizione più condivisa ma presenta anche aspetti negativi. L'aumento dei tassi di riferimento da parte del FOMC attrarrà nuovi investimenti nell'area del dollaro e la prima conseguenza sarà proprio un ulteriore rialzo della valuta americana.

Infatti, nei periodi di deflazione "cash is king" e con i rendimenti obbligazionari dell'area euro ormai prossimi allo zero, molti europei aumenteranno la quota di liquidità investita in dollari proprio per ottenere rendimenti superiori.

Più robusto potrebbe essere l'afflusso dall'Oriente: secondo i calcoli fatti dal capo degli economisti della Mizuho Securities, Yasunori Ueno, i giapponesi hanno 36 mila miliardi di yen (circa 301 miliardi di dollari) sotto i materassi (si veda l'articolo di Mia Tahara-Stubbs, sul sito della CNBC, 31 marzo 2015) ed in molti altri paesi orientali l'acquisto di valuta pregiata è già da decenni un'ottima precauzione.

B) "None and done" cioè nessun rialzo: i mercati troveranno da soli un nuovo equilibrio.

E' l'opinione dal Presidente del nono distretto della "Federal Reserve", Narayana R. Kocherlakota (il padre è originario dell'India): il FOMC dovrebbe attendere la seconda metà del prossimo anno.

Un rinvio dell'intervento sui tassi consentirebbe agli Usa di avvantaggiarsi della ripresa in Europa, ripresa che rafforzerà l'euro e quindi modererà il dollaro.