Il biotech farmaceutico italiano è rappresentato da 211 aziende, tra grandi, medie e piccole, che danno lavoro a 3.816 addetti con un fatturato complessivo di quasi 8 miliardi di euro l’anno. Già oggi con 202 farmaci biotech a disposizione, si coprono ben 11 aree terapeutiche, come l’oncologia, la cardiologia, la neurologia e le malattie infettive. Parliamo di vaccini (71), proteine ricombinanti (43), anticorpi monoclonali (29). Quello biotech è una realtà in rapida crescita (aumento del 7% rispetto all’anno precedente), con investimenti in ricerca e sviluppo di 623 milioni l’anno (dati relativi al 2014), una cifra stimata essere 16 volte superiore a quanto investito in altri comparti della nostra economia.
Investimenti che serviranno anche a completare lo sviluppo di 324 nuovi farmaci biotech.
Il comparto biotech farmaceutico
Probabilmente è stata l’insulina il primo farmaco biotecnologico, prodotta nel 1982 da un batterio chiamato Escherichia coli, grazie ad un tecnologia ricombinante. Negli ultimi anni, il numero di farmaci biotech è aumentato in modo esponenziale, andando a soddisfare le esigenze terapeutiche di diverse aree, dal cancro al diabete, dalle malattie infettive alle malattie cardiovascolari, dalle malattie neurologiche a quelle respiratorie e autoimmuni. Anche le tecnologie di produzione a disposizione sono varie e diversificate. I farmaci biotech possono essere raggruppati in otto categorie: antibiotici, vaccini, enzimi, fattori di coagulazione, ormoni, fattori di crescita, citochine, e anticorpi monoclonali.
Dal rapporto sul comparto biotech nel nostro Paese, illustrato da Massimo Scaccabarozzi, presidente Farmindustria, emerge un quadro incoraggiante con uno scenario per i prossimi anni, decisamente positivo. Sono ben 324 i nuovi farmaci biotech in sviluppo, di questi circa un terzo riguardano farmaci antitumorali, con una sessantina già in una fase di sviluppo avanzato (fase 3), e quindi prossimi alla commercializzazione.
Dagli anni ’80 la ricerca biotech ha dato un importante contributo alla lotta contro numerose malattie. Solo nel cancro, negli ultimi 30 anni la mortalità complessiva si è ridotta del 20%. Oggi un uomo colpito dal cancro ha il 57% di probabilità di essere curato mentre una donna il 63%. Sono dati medi in quanto ci sono forme tumorali dove i progressi fatti permettono di raggiungere la guarigione in oltre il 90% dei casi mentre permangono tumori dove le percentuali di successo sono ancora troppo basse.
La quarta rivoluzione industriale
Biotech vuol dire la sintesi di molte conoscenze nella chimica, tecnologia, biologia, informatica, e banche date (Bid Data). Un comparto dove il 92% degli addetti ha almeno una laurea. Le sfide all’orizzonte sono ancora enormi perché non ci sono solo i tumori o le infezioni virali, ora sta emergendo un altro grosso problema: il fenomeno dell’antibiotico resistenza.
Eugenio Aringhieri, presidente del Gruppo Biotecnologie di Farmindustria, è convinto che il modello biotech sia un modello aziendale in grado di poter affrontare e vincere nuove sfide fino a poter offrire trattamenti personalizzati, in molte aree terapeutiche.
Quella che stiamo vivendo è la quarta rivoluzione industriale dove l’impresa, non importa se piccola o grande, è interconnessa e riassume molte competenze, anche distanti tra loro.
Perché la sfida della globalizzazione si vince con l’innovazione e questa non può essere fatta se non si mettono insieme competenze diverse che siano, nello stesso tempo, in sintonia con il resto del mondo.
Questa sfida l’industria farmaceutica italiana la sta vincendo, sia in campo produttivo che nella sperimentazione clinica, entrambi appannaggio prevalentemente della grande impresa. La ricerca, invece, sta trovando una nuova dimensione nella piccola-media impresa. La biotech, appunto. Ma il comparto farmaceutico made-in-Italy gode di buona salute e,visto nel suo complesso, spingono Farmindustria a parlare di “Rinascimento della Ricerca”.