Negli ultimi tempi la tesi sull’utilità di aprire o chiudere i flussi migratori è dibattuta da tutte le forze politiche. Il Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, attingendo a dati Istat e del Ministero dell’Interno, ha svolto uno studio sulla popolazione straniera residente in Italia per stimare la reale convenienza al blocco di ingressi per motivi di lavoro.
Le statistiche Inps sulla questione dei migranti
Secondo i dati Istat, gli stranieri residenti in Italia dal 2011 sono aumentati di circa 2,2 milioni di persone, tra nuovi ingressi e persone che hanno ottenuto la cittadinanza italiana.
A questo vanno aggiunti i matrimoni e le nascite, che dal 2011 al 2016 hanno incrementato del 40% i rapporti di lavoro con gli immigrati. La popolazione straniera è cresciuta in maniera sproporzionata rispetto alla richiesta di lavoro, pertanto nel corso degli anni il tasso di disoccupazione di migranti residenti è arrivato al 25% circa attuale. La povertà delle famiglie di immigrati nella zona del centro nord Italia è cresciuta di otto volte rispetto a quella delle famiglie italiane e, a questo proposito, l’Inps riterrebbe opportuno riaprire le quote di ingresso migratorie per motivi di lavoro.
Gli immigrati sono di bassa istruzione e qualificazione professionale
Secondo lo studio svolto in collaborazione con i ministeri dell’Interno, del Lavoro e delle Politiche Sociali, i dati Istat hanno evidenziato che il blocco delle quote d’ingresso per motivi lavorativi dal 2011 al 2016 ha comportato diverse conseguenze.
Se è vero che i migranti che arrivano nel Paese non hanno qualificazione professionale e sono di bassa istruzione, è anche vero che offrono un importante movimento al sistema pensionistico Inps, tra contributi previdenziali versati ed erogati. Il vantaggio è di circa 36,5 miliardi di euro, che costituiscono il differenziale tra versamenti ed erogazioni di prestazioni pensionistiche.
L’approfondimento svolto dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali ha evidenziato quanto questo dato sia opinabile e che il fenomeno migratorio non sia assimilabile esclusivamente ad un bilancio di costi/benefici, ma sia dovuto ad un insieme di dinamiche molto diversificate.
Il costo di ogni migrante è sproporzionato rispetto ai ricavi
È stato calcolato che la sola spesa sanitaria per ogni immigrato nel 2016 sia stata di 1.870 euro e dunque, per i circa 6 milioni di presenze, il totale è stimato in circa 11 miliardi di euro. A questo vanno aggiunti altri 7.400 euro pro capite per le spese scolastiche che, sommati a quelle di accoglienza, fanno raggiungere la ragguardevole somma di 23 miliardi di euro. La cifra non tiene in considerazione eventuali spese a carico dello Stato, come l’assistenza sociale e gli sconti per strutture e mezzi pubblici dovuti ai poveri. L’immigrazione forse sarà un investimento, ma nei primi 15 anni le spese supereranno le entrate e, soprattutto, bisognerebbe calibrare gli ingressi in considerazione delle reali esigenze dell’Italia. L’unica eccezione andrebbe fatta per l’accoglienza dovuta a motivi umanitari.