Il "bail in", il discusso meccanismo che serve a tutelare le banche, sarebbe la conseguenza di un ricatto operato dalla Germania all'Italia. E' più o meno questo il concetto espresso dal ministro dell'Economia Giovanni Tria, rispondendo a precisa domanda rivoltagli dalla Commissione Finanze del Senato. Parole che, con ogni probabilità, sono destinate a far discutere, aprendo come al solito diversi fronti di opinione, tra cui quelli che, da tempo, accusano l'Italia di essersi, nel tempo, assoggetta ad economie forti come quella tedesca, nell'ambito di un'Europa che non è mai stata tenera con l'Italia e con i suoi conti.

Il 'bail in' fa discutere

Negli ultimi anni più volte si è dovuto far fronte alla necessità di salvaguardare alcune banche che si sono trovate in difficoltà. Gli attuali governanti, quando erano all'opposizione, accusavano il Pd di avere salvato degli istituti mettendo in secondo piano gli interessi dei risparmiatori. Parti che, invece, si sono invertite quando è stato l'attuale esecutivo giallo-verde ad operare il discusso salvataggio della Carige. Oggi, però, a tenere banco in Commissione Finanze al Senato è stato il così detto meccanismo del "bail-in". Si tratta di un sistema attraverso cui è possibile operare i salvataggi delle banche scaricando i costi anche sugli investitori e sui risparmiatori.

Una misura che, evidentemente, non può essere ritenuta equa da molti cittadini, ma che non sarebbe frutto di una scelta politica italiana, bensì quasi di un'imposizione tedesca. O meglio di un ricatto.

La misura in gergo tecnico

"Bail in" è un termine che viene dall'inglese e la cui traduzione letterale è cauzione interna. Si tratta di una misura che viene messa in campo quando si prova a superare una crisi bancaria attraverso il coinvolgimento di azionisti, obbligazionisti e correntisti dello stesso istituto.

Tradotto in termini semplici si può dire che si chiede un contributo al "cliente della banca", con la certezza, però, che il sacrificio o la perdita sarebbe comunque sensibilmente inferiore a quella che maturerebbe in caso di liquidazione coatta amministrativa. La pratica, in termini tecnici, viene definita: no creditor worse off.

Eventuali prelievi forzosi non riguardano comunque depositi inferiori a 100.000 euro e coinvolge unicamente i soggetti che beneficiano di un rapporto diretto con l'ente, non quindi i patrimoni dei clienti che abbiano semplici azioni, obbligazioni o titoli di fondi.

Le parole di Tria attaccano la Germania

Per quanto si tratta di una misura messa in atto da un governo che faceva capo al Partito Democratico, Tria sottolinea come nessuno all'epoca, compreso il ministro Saccomanni, fosse favorevole all'adozione del "bail in". L'Italia, secondo quanto evidenziato dall'attuale leader del Mef, si trovò nel bel mezzo di un ricatto proveniente dalla Germania. Da quanto mette in rilievo il Ministro l'Italia sarebbe stata messa di fronte ad un bivio: accettare il "bail in" o confrontarsi con il fatto che sarebbe stata diffusa la notizia secondo cui il sistema bancario del Bel Paese fosse prossimo al fallimento. Un'eventualità che, con buona probabilità, avrebbe avuto ricadute importanti in negativo e che avrebbe scoraggiato molti investitori. Tria, comunque, ha sottolineato come al momento è difficile ipotizzare che il "bail in" possa essere abolito in tempi brevi.