Le notizie che producono polemiche intorno alla Naspi sono quotidiane. Le contestazioni sulla nuova forma di ammortizzatore sociale in vigore dallo scorso maggio continuano a far discutere. Stagionali penalizzati e collaboratori domestici esclusi dal sussidio sono sul piede di guerra, ma anche sugli importi a scalare, per la totalità dei beneficiari si continua a discutere. Un altro punto che viene visto con scetticismo dai più è il fatto che i percettori dell’assegno, potrebbero essere chiamati a lavorare per la collettività sotto le dipendenze del Comune di residenza o di un altro ente locale.

Decreto Legislativo 150 del 2015 sulle politiche attive

In vigore da fine settembre, il dlgs 150/2015, prevede che tutti i percettori di ammortizzatori sociali per disoccupati, quindi la Naspi, ma anche Asdi e DisColl, potrebbero essere chiamati a lavori di utilità pubblica dalle amministrazioni locali. Si tratta di una vera e propria rivoluzione nel modo di intendere gli strumenti di sostegno al reddito per disoccupati. I Comuni dopo aver stabilito una convenzione con le Regioni, convenzione che sarà guidata dall’Agenzia Nazionale per le Politiche Attive, potranno ricorrere ai disoccupati per lavori da svolgere nel proprio territorio. Le attività ed i lavori da svolgere non daranno vita ad un vero e proprio rapporto di lavoro tra Ente e lavoratore e non intralceranno un eventuale altro lavoro che il beneficiario dell’indennità potrebbe trovare.

Nelle attività di utilità collettiva, i disoccupati saranno trattati alla stregua degli altri lavoratori in organico all’Ente chiamante, come retribuzione, orari e durata.

Rinunciare mette a rischio la Naspi?

Il provvedimento, anche se non esplicitamente, rientra nel patto di servizio che accompagna la Naspi e con il quale i percettori degli ammortizzatori sociali si dichiarano disposti ad accettare proposte di lavoro durante il periodo coperto dal sussidio.

Il rifiuto ad accettare la chiamata a lavori di pubblica utilità, porta alla revoca dell’assegno. Stessa cosa per le assenze anche se giustificate da un motivo personale, a meno che non si stabilisca un modo tra Ente e lavoratore che porti a recuperare le ore perdute. Solo le assenze per malattia, naturalmente certificate da un medico, non comporterebbero la sospensione dell’assegno.

In questo caso però, le assenze devono rientrare nel numero massimo previste per il corretto funzionamento del progetto. Per i disoccupati over 60 invece, sono stati fissati dei paletti sulle ore di lavoro a cui possono essere chiamati. Il numero massimo è di 20 ore settimanali e l’importo da percepire per il lavoro svolto deve essere pari all’importo dell’assegno sociale.