Si parla di 'mobbing' tutte le volte in cui nel luogo di lavoro si verificano situazioni relazionali o organizzative non corrette. Esso si manifesta in particolare, attraverso comportamenti, parole, gesti, scritti, posti in essere in modo continuativo e costante, che arrecano offesa alla personalità e all'integrità psico-fisica della persona, compromettendo il clima lavorativo. Il mobbing si concretizza dunque attraverso molteplici forme che possono consistere in continue critiche sull'operato; in un emarginazione del soggetto attraverso l'ostilità e la non comunicazione e nell'assegnazione di compiti dequalificanti e banali.
La Corte di cassazione, con una recente sentenza n. 3291/2016, si è pronunciata proprio su una particlare tipologia di mobbing attenuato, lo 'straining', consistente in una situazione costante di stress che si manifesta in condotte tendenti alla dequalificazione, in sostanza ad uno svuotamento completo delle mansioni del lavoratore
Quando si configura il ‘mobbing’ e quando lo ‘straininig’?
Il caso da cui trae origine la sentenza della Corte di Cassazione riguarda una dipendente di un'Azienda Ospedaliera che aveva proposto ricorso in Tribunale per vedersi risarcire il danno da mobbing e da demansionamento. La dottoressa fra i motivi del ricorso infatti aveva dato risalto a 2 episodi perpetrati nei suoi confronti dal primario dell’Ospedale.
In uno il primario non le aveva consegnato la scheda di valutazione, nell’altro episodio invece il primario aveva stracciato la relazione di consulenza della ricorrente che avrebbe dovuto essere allegata ad una cartella clinica. I giudici di merito hanno però escluso il danno da mobbing mancando l'elemento della oggettiva frequenza della condotta ostile.
Infatti non emergeva alcun danno alla professionalità della ricorrente, benché i magistrati avevano riscontrato delle indubbie difficoltà logistiche e organizzative all’interno della struttura ospedaliera. Era dunque stato confermato solo il diritto al risarcimento dei danni in relazione all’accertamento di una situazione di stress lavorativo subito dalla dottoressa in virtù dell’ 2087 codice civile.
I giudici dell’Appello infatti hanno ritenuto che la riorganizzazione del reparto non era certo avvenuta per danneggiare la dottoressa, il cui impegno part-time limitava però le mansioni che le potevano essere affidate. La dipendente non si è accontenta e ha deciso di proporre ricorso per Cassazione contro la sentenza d’Appello nella parte in cui non gli veniva riconosciuto anche il danno da perdita di chance
La Cassazione e i presupposti dello straining
La Corte di Cassazione, confermando la sentenza dei colleghi di merito, ha qualificato i comportamenti e gli episodi di emarginazione messi in atto contro la dottoressa come straining. Gli Ermellini hanno evidenziato che essi generalmente si manifestano in situazioni di stress forzato ove la vittima subisce azioni ostili ma limitate nel numero e distanziate nel tempo.
Nel caso di specie infatti la condotta dannosa e vessatoria posta in essere dal primario era priva del requisito della continuità e si era realizzata infatti con una azione unica e isolata. Gli ermellini hanno quindi ritenuto che la liquidazione del danno abbia rispecchiato esattamente la misura della sofferenza patita e il danno psichico permanete subito dalla dottoressa. Gli Ermellini hanno dunque ritenuto congrua la somma riconosciuta alla dottoressa dai giudici dell'Appello che non hanno violato in principio tra il chiesto e in pronunciato qualificando appunto la condotta di mobbing quale straining. Per altre info di diritto potete premere il tasto segui