Uno dei punti cardine della proposta di Boeri sulla riforma del sistema pensionistico italiano è il reddito minimo di cittadinanza. Nella Delega sulla povertà, il governo ha stanziato un miliardo di euro per i più bisognosi, ma non ha previsto alcun provvedimento come il reddito minimo. Il Movimento 5 Stelle, Sel e le altre opposizioni di Governo (ma ci sono anche gruppi di maggioranza che sono favorevoli), hanno fatto del Reddito Minimo di Cittadinanza un cavallo di battaglia. In controtendenza rispetto al Governo centrale, alcune Regioni hanno messo in campo strumenti di sostegno indipendenti che sono già attivi.

Cosa sono questi interventi regionali

Spesso si tratta di misure poco conosciute che possono essere sfruttate da cittadini in difficoltà, che non hanno tutele dal Governo Centrale o che hanno terminato di percepire gli ammortizzatori sociali nazionali. Il reddito minimo in diverse regioni italiane è già realtà, magari con un nome diverso, ma copre famiglie numerose, con minori, disoccupati, over 50 e così via. La prima regione a vararlo è stata la Basilicata dove si chiama proprio Reddito Minimo. I cittadini coperti dal bando, pubblicato ad agosto e scaduto il 15 settembre 2015, sono di due categorie. Ci sono quelli che hanno terminato di percepire la mobilità e che hanno un ISEE sotto i 15.000 euro e tutti i disoccupati di lunga data, cioè con almeno 24 mesi di iscrizione al collocamento con un ISEE di 9.000 euro.

Il sussidio dovrebbe erogare a ciascun beneficiario fino a 450 euro al mese. Anche il Friuli Venezia Giulia della Governatrice Serracchiani ha previsto una forma di integrazione al reddito per i cittadini meno abbienti, mettendo sul piatto 10 milioni di euro all’anno dal 2015 al 2017. In questo caso, le risorse saranno erogate ai bisognosi comune per comune in sinergia con le segnalazioni dei servizi sociali locali ed è previsto un assegno tra i 600 ed i 900 euro mensili.

In Molise, la storia è vecchia, anche se non è mai partita, ma con la finanziaria regionale hanno stanziato un milione di euro da destinare ai bisognosi in base alla gravità della situazione, a partire da nuclei familiari di 4 o più persone, scendendo a nuclei familiari con un solo genitore, con situazioni di invalidità e così via.

L’inclusione sociale come principio?

In Lombardia, si punta ad una politica di inclusione sociale, non solo a dare sostegno al reddito. E’ questa la linea madre del progetto Reddito di Autonomia che concede ai disoccupati di lungo corso, con un ISEE sotto i 15.500 euro, fino a 1.800 euro al mese purchè partecipino ad iniziative rivolte ad ampliare il grado di competenze dei partecipanti ed a favorirne il reinserimento lavorativo. Stessa linea per la Pugliae per il suo Reddito di Dignità, dove si erogano tra le 200 e le 600 euro a 20mila famiglie con ISEE sotto i 3.000 euro aderendo al patto di servizio. Il progetto pugliese partito nel 2016 è sperimentale, ma si prevede di coprire in 5 anni tutta la popolazione dei deboli.

Misure simili sono state previste anche dalle province autonome di Trento e Bolzano ed in Valle d’Aosta. In pratica, le Regioni Italiane si muovono più veloci del Governo, forse perché più inserite nel tessuto sociale dei loro cittadini. E se anche il Piemonte di Chiamparino ha già messo a punto una idea simile alle precedenti, adesso si inizia a muovere qualcosa anche nei singoli comuni se è vero che anche il sindaco di Livorno sta avviando un progetto comunale che dovrebbe erogare 500 euro al mese ai bisognosi.