La riforma delle Pensioni tiene ancora banco, tra chi crede ancora nella possibilità che venga fatta e tra chi è scettico. Diverse sono le proposte in valutazione sul tavolo del Governo, ma molti sono anche gli ostacoli da superare. Dopo la parziale delusione avuta con la Legge di Stabilità 2016, all’interno della quale, salvo piccoli interventi tampone come opzione donna e salvaguardia esodati, nulla è stato fatto, vediamo a che punto siamo.

Su cosa si sta lavorando?

Un dato certo è che non ci sarà alcun provvedimento a se stante, nessun decreto ad hoc, almeno fino a fine anno.

Le ultime voci dicono che si lavora per inserire un provvedimento di flessibilità in uscita nella prossima Legge di Stabilità, quella che dovrebbe entrare in vigore nel 2017. La base di partenza di ogni discussione sul capitolo previdenziale è la proposta del Presidente della Commissione Lavoro Cesare Damiano. Secondo questa idea, uscita consentita con 35 anni di contributi a partire dai 62 anni di età e con penalizzazioni del 2% per ogni anno di anticipo.

Per la vecchia anzianità, Damiano spinge per l’uscita a 41 anni di contributi versati senza tener conto dell’età anagrafica. Resta ancora un piccolo spiraglio per quota 100, cioè concedere la pensione quando la somma di età e contributi versati raggiunga quella soglia.

Naturalmente, anche la proposta Boeri è tra quelle di cui si parla e che somiglia a quella di Damiano. Infatti, si consentirebbe l’uscita a partire da 63 anni, con penalizzazioni crescenti in base agli anni di anticipo e con l’accettazione del calcolo contributivo per tutti i periodi di lavoro svolti. Un’altra proposta è estendere a tutti il sistema contributivo e quindi concedere a tutti l’opzione donna a 57 anni e 3 mesi di età con 35 di contributi.

In ultimo c’è il prestito pensionistico che prevede l’erogazione di una pensione in anticipo a coloro che non hanno tutela, cioè sono senza ammortizzatori sociali, senza lavoro e che si trovano a 3 anni dalla pensione. In sostanza si tratterebbe di anticipargli la pensione che poi saranno costretti a restituire, a rate, quando, finalmente, raggiungeranno i requisiti per la vera e propria pensione.

Vincoli europei e sindacati sul piede di guerra

Il motivo principale per il quale stiamo ancora a parlare della riforma delle pensioni, cioè il perché ancora non si è provveduto a fare niente, è il costo dell’operazione. Per esempio, a conti fatti, la proposta Damiano costerebbe 8,5 miliardi, la quota 100 oltre i 10 miliardi. Tutte le proposte infatti, prevedono un sostanzioso esborso da parte delle casse statali e conta poco, attualmente, il fatto che nel lungo periodo, tutte le proposte portano risparmi per via delle grandi penalizzazioni in termini di pensioni concesse. Lo Stato Italiano oggi non può permettersi di mettere in conto queste spese e l’Unione Europea lo ha confermato. Infatti, difficilmente verrà accettata la richiesta italiana di avere maggiore flessibilità sui bilanci, anzi, saranno richiesti ulteriori tagli alla spesa pubblica, senza considerare le clausole di salvaguardia che sono state solo disinnescate e rimandate alla prossima finanziaria.

Nel frattempo i sindacati continuano ad incalzare il Governo sulla necessità di riformare il sistema previdenziale e di cancellare la Legge Fornero. Le tre grandi sigle sindacali, CGIL, CISL e UIL contestano lo stallo del Governo sul tema pensioni ed hanno indetto una mobilitazione generale da tenersi in ambito territoriale per il 2 aprile 2016.