Qualche settimana fa a molte famiglie sarà venuto un colpo alle notizie che davano l’assegno di reversibilità, cioè la parte di pensione lasciata da un defunto ad alcuni eredi, a rischio taglio o revoca. Infatti, secondo un provvedimento del Governo, approvato dal Consiglio dei Ministri a gennaio, cioè la Delega sulla Povertà, la reversibilità poteva diventare una prestazione assistenziale e non più previdenziale. In questo modo, la sua erogazione ed il calcolo di quanto spettante, sarebbe dovuto essere collegato al reddito dei beneficiari secondo i parametri ISEE, così come accade per qualsiasi altro sussidio.

Il rischio che a qualcuno venisse revocata o non più concessa sembrava evidente, ma dai Palazzi di Governo, sono arrivate subito smentite, almeno per le prestazioni già in essere. Vediamo quindi, come funzionano le prestazioni ai superstiti nel 2016, la reversibilità, la pensione indiretta e l’indennità di morte.

Le regole 2016 per la reversibilità

L’istituto più frequente del panorama previdenziale italiano nei casi di decesso di un pensionato è sicuramente la reversibilità. Il pensionato lascia con questo istituto, ai suoi eredi, una quota della pensione che percepiva. I familiari a cui spetta la prestazione sono il coniuge, i figli, i genitori ed i fratelli. Se per il coniuge non ci sono problemi, per i figli è necessario che essi siano minorenni, studenti disoccupati fino a 21 anni, universitari senza reddito fino a 26 anni o invalidi.

In assenza di coniuge, figli ed eventuali ascendenti (quindi i nipoti), le prestazioni possono essere erogate ai genitori ed ai fratelli se celibi o nubili a condizione che siano senza reddito e fiscalmente a carico del defunto alla data della morte.

L’importo della pensione di reversibilità varia in base al reddito del beneficiario, perché l’assegno si riduce con il salire del reddito.

Se fino al 2015, per redditi fino a 19.573,71 euro, la pensione era erogata per intero, dal 1° gennaio, anche se ancora non confermato ufficialmente, spetterà una pensione pari al 60% di quanto percepiva il defunto. Come dicevamo, più alto è il reddito, meno pensione spetta al superstite, tanto è vero che per esempio, un superstite con redditi pari o superiori a 32.622,85 euro, percepirà solo il 30% della vecchia pensione del defunto.

Pensione indiretta e indennità di morte

Fin qui si parlava di un defunto già pensionato, ma la Legge italiana copre anche i casi in cui a morire sia un lavoratore non ancora pensionato. In questi casi non si parla di reversibilità, ma di pensione indiretta. Per far scattare la pensione indiretta, il lavoratore deve possedere alcuni requisiti il giorno del suo decesso. È necessario che il lavoratore abbia almeno 20 anni di contributi già versati, oppure solo 5 ma dei quali, almeno 3 siano stati versati nei 5 anni precedenti il decesso. I beneficiari di questa indennità ai superstiti sono gli stessi previsti per la reversibilità e con le stesse caratteristiche. L’importo della pensione indiretta è calcolato allo stesso modo e con gli stessi limiti reddituali della pensione di reversibilità.

La differenza è che in questo caso, si percepirà un assegno calcolato sulla pensione che avrebbe dovuto percepire il defunto il giorno della morte, cioè in base a quanto versato di contributi. In assenza dei requisiti necessari per erogare la pensione indiretta, cioè quelli che avrebbe dovuto raggiungere il defunto, esiste l’indennità di morte che è una erogazione in unica soluzione calcolata sull’ammontare dei contributi versati fino a quel momento. In attesa di novità sul fronte normativo italiano, le regole restano queste per il 2016, ma l’aria che tira, nonostante le smentite, non sembra delle migliori.