Ogni cliente nel momento in cui conferisce il mandato professionale all’avvocato ha sempre il diritto da essere informato, preventivamente non solo della complessità che presenta la causa che gli ha affidato ma anche degli sviluppi del giudizio e delle strategie di volta in volta elaborate. A dirlo è il decreto n. 1/2012, il cosiddetto “Cresci Italia”, che ha previsto anche nella fase precontrattuale la massima trasparenza nei contratti stipulati tra professionista e consumatore. Nello specifico infatti il legale deve indicare i dati della polizza assicurativa e deve mettere al corrente il cliente su tutti oneri prevedibili dal momento del conferimento alla conclusione dell’incarico.

Egli deve quindi comunicare in anticipo la misura del compenso, che deve essere proporzionato all’importanza dell’opera e deve essere pattuito indicando per le singole prestazioni, tutte le varie voci di spese. Questo adempimento permette all’avvocato sia di potersi difendere nei confronti di un eventuale e successiva contestazione dell’assistito sia di poter riscuotere l’onorario, qualora il cliente non volesse più pagarlo alla scadenza del mandato.

Esclusione della responsabilità professionale del legale

La Corte di cassazione con una recente sentenza, la n.770 del 19 aprile 2016 ha esaminato il caso di una società che ha citato in giudizio il suo avvocato per inadempimento del contratto d’opera professionale, chiedendo anche la condanna al risarcimento del danno oltre che la risoluzione dello stesso.

La ricorrente ha contestato in Tribunale il presunto comportamento omissivo dell’avvocato che, sebbene lo aveva avvisato della necessità di una chiamata in causa di terzo in garanzia, non lo aveva più sollecitato dopo il rifiuto da lei espresso su tale necessità. Sia i giudici del Tribunale che della Corte d’appello hanno però rigettato il ricorso della società, ritenendo che il difensore avesse assolto al suo dovere di diligenza nel momento il cui egli aveva informato la ricorrente-cliente.

Non poteva essergli certo rimproverato di non aver insistito al fine di ottenere il consenso della cliente alla chiamata in causa del terzo. I giudici di Piazza Cavour hanno quindi abbracciato la decisione dei colleghi di merito, sottolineando che l’assolvimento dell'obbligo di informazione che grava sul legale, consistente nel presentare a quest’ultimo tutte le questioni di fatto e di diritto, incontra un limite.

Ovvero quest’ultimo non è tenuto anche a persuadere il cliente nel mettere in atto una specifica strategia processuale. Ne consegue che l’avvocato non può incorrere in alcuna responsabilità professionale se poi il giudizio ha un esito sfavorevole, proprio perché il cliente non ha voluto ascoltarlo.

Onere di dimostrare l’obbligo di diligenza nell’attività svolta

Nel caso di specie infatti il giurista si è salvato proprio perché era riuscito a dimostrare di aver messo nero su bianco con documento scritto sia il tipo di attività che sarebbe stata da lui svolta sia il fatto che la società aveva scelto di non dare seguito alla chiamata di terzo. E’ sempre l’avvocato infatti a dover dimostrare, in tali ipotesi di avere ottenuto una sorta di consenso informato dal proprio assistito posto che in assenza di una chiara relazione scritta preventiva, l’avvocato non può pretendere il pagamento della parcella anche se perde la causa.

Gli Ermellini quindi hanno ritenuto che l’avvocato avesse dato prova della condotta mantenuta, la diligenza cui era tenuto essendo stata assolta nel momento in cui la cliente era stata informata sul punto. Per altri aggiornamenti di diritto potete premere il tasto segui accanto al mio nome.