Dalla scorsa estate i lavoratori statali, quelli che lavorano nelle Pubbliche Amministrazioni, sono in attesa che gli venga rinnovato il contratto. Rinnovo che doveva significare aumento in base alla sentenza della Corte Costituzionale che ha bocciato la Legge Fornero sul punto del blocco della perequazione ai contratti nelle Pubbliche Amministrazioni. Ad un anno di distanza dalla sentenza quindi, ancora niente è finito nelle tasche dei lavoratori, nemmeno quegli spiccioli di cui si parlava fin dalla pubblicazione della Legge di Stabilità 2016, a ottobre 2015.
Adesso però sembra che già a luglio ci dovrebbe essere la fumata bianca sul rinnovo e sugli scatti in aumento dei salari, ma con molti dubbi e molte cattive notizie per i lavoratori.
Aumenti per 800mila lavoratori su oltre 3 milioni di organico
La questione del contratto ha seguito di pari passo la riforma della Pubblica Amministrazione del Ministro Madia, o meglio, la riforma è stata sempre la scusa per posticipare la discussione e lo sblocco del contratto. Adesso che la storia dei comparti è terminata, con la loro riduzione da 11 a 4 e con gli altri interventi di riforma e di semplificazione del rapporto tra PA e cittadini, nessuna scusa può rimandare oltre il tanto agognato rinnovo. Le indiscrezioni dicono che per luglio dovrebbe essere predisposta la piattaforma definitiva e si provvederà a sbloccare finalmente le buste paga dei lavoratori.
Il Governo stanziò a suo tempo (nella Stabilità 2016), 300 milioni di euro. La cifra che i sindacati hanno duramente contestato fin da subito, divisa tra gli oltre 3 milioni di lavoratori, concedeva meno di 10 euro al mese di aumento, cifra che lavoratori e loro rappresentanti consideravano una piccola mancia, spiccioli rispetto alle perdite avute in oltre 7 anni di blocco.
Nessuna preoccupazione però, con le settimane di lavoro e trattative, le cifre non saranno più quelle, ma nemmeno i beneficiari di questi aumenti. Infatti si daranno con tutta probabilità aumenti a coloro che percepiscono redditi lordi entro la soglia dei 26.000 euro. Significa che gli aumenti mensili saranno intorno alle 30 euro cadauno, perché i 300 milioni andranno divisi tra 800mila lavoratori.
Oltre due milioni di dipendenti quindi, non si vedranno elargire nessun aumento, alla faccia di una sentenza che doveva essere totalmente recepita.
Alla fine nessuno sarà contento comunque
In pratica si copia l’operazione bonus di 80 euro anche allo sblocco del contratto. La sentenza già di per sé clemente, perché non ha ordinato al Governo risarcimenti retroattivi per l’incostituzionale atto del Governo Monti, viene quasi del tutto disattesa, quasi che il Governo operi contro la Giurisprudenza. Aumenti solo per fasce di reddito quindi, mentre per quelli lasciati fuori, con redditi più alti, niente sarà dovuto e lo stipendio resterà bloccato a 7 anni fa. Nessun risarcimento è previsto nemmeno per il periodo di vuoto contrattuale, con la storia della vacanza contrattuale che sarà quasi certamente posticipata al 2020.
Inoltre, aumenti di 30 euro al mese concessi ai lavoratori con redditi vicini ai 26mila euro potrebbero significare per questi dipendenti il concreto rischio di perdere gli 80 euro di bonus in busta paga. In parole povere, prendendo questi aumenti di 30 euro, si rischia di perdere il bonus e di perdere 50 euro al mese perché si supererebbe la soglia reddituale utile proprio all’incasso del bonus. Nessuna novità poi per la questione temporale degli aumenti, con i sindacati che farebbero partire gli aumenti (e quindi gli arretrati), dal giorno di deposito della sentenza lo scorso luglio mentre il Governo fermo sulla data di partenza del 1° gennaio, con la sua manovra finanziaria. Insomma, problemi seri per i lavoratori, che si aggiungono anche alle pagelle ed ai premi di produttività erogati solo ai meritevoli, secondo un poco chiaro meccanismo nato dalla vecchia idea di riforma dell’allora Ministro Brunetta.