La Previdenza Italiana, ormai, sta diventando un ritornello quotidiano. Ogni giorno c’è qualcuno che dice la sua sulle Pensioni e le notizie, spesso in contraddizione l’un l’altra, creano tanta confusione e tanti dubbi sui cittadini. Parlare di riforma è eccessivo perché se è vero che si sta ragionando su come rendere meno duro l’andare in pensione per gli italiani è altrettanto vero che riforma significherebbe eliminare la Legge Fornero, così vessatoria su questo tema, prevedendone una nuova. Nulla di questo è in programma, si tratta solo di correggere alcuni aspetti del sistema, perché la Legge Fornero resterà ancora in piedi.

Il prossimo mese sarà quello in cui tutto sarà più chiaro e dalle parole si passerà ai fatti.

Pensioni minime in aumento?

Le lungaggini burocratiche italiane, purtroppo, rendono complicato qualsiasi tipo di provvedimento, figuriamoci uno così importante e di vasto raggio come quello previdenziale. A settembre, l’agenda di Governo ha diversi appuntamenti già fissati. Tre incontri con le parti sociali, uno a tema lavoro e gli altri due sulle pensioni. L’ultimo fissato per il 12 settembre sarà quello in cui il Governo presenterà il piano di misure che si vorrebbe far rientrare nella Legge di Stabilità. Poi ci sarà il DEF, o meglio l’aggiornamento del Documento di Economia e Finanza che dopo la Legge di Stabilità è l’atto economico più importante dell’Esecutivo.

Sarà lì che probabilmente verranno verificate le capacità di spesa del Governo per valutare meglio se è possibile e quanto è possibile stanziare per le pensioni. Inoltre, sempre a settembre, il Governo attende risposta dalla UE sulla richiesta di allargare le strette maglie della flessibilità di bilancio che è uno dei vincoli che l’Europa pone agli Stati Membri.

Proprio questa richiesta di “clemenza” alla UE potrebbe essere il via libera, se accettata, per uno dei passaggi più importanti sul tema pensionistico. Si tratta dell’aumento delle pensioni minime, di quelle di importo più basso. Le vie potrebbero essere due e non necessariamente una alternativa dell’altra. La prima è allargare la platea dei beneficiari della quattordicesima mensilità.

Oggi questa spetta alle pensioni inferiori ai 10mila euro all’anno e varia di importo in base ai contributi versati, tra € 336 ed € 506. Si pensa di estenderla anche a pensioni fino a 1.200 euro al mese. La seconda ipotesi parla di aumentare gli importi erogati, che resterebbero in base ai contributi versati ma che aumenterebbero tutti di 80 euro cadauno.

L’unica cosa certa resta ancora l’APE?

L’anticipo pensionistico o APE sembra ormai cosa certa, perché per il Governo questa misura copre perfettamente la necessità di offrire flessibilità in uscita dal lavoro e cosa anche più importante costa poco. Escludendo le pensioni più basse che verranno agevolate in quanto a penalizzazione e rata da rendere del prestito pensionistico ottenuto, il resto del costo della novità previdenziale sarà a carico dei lavoratori.

Inoltre, anche il numero dei possibili beneficiari dell’anticipo, sarà calmierato, cioè sarà perfettamente conosciuto dai legislatori. Per il primo triennio si conta di mandare in pensione con l’APE 350mila lavoratori massimo, cioè i nati tra il 1952 ed il 1954 che hanno almeno 20 anni di contributi. Negli anni successivi, sempre che la misura diventi strutturale, il numero dovrebbe assestarsi sui 150mila all’anno. Ripetiamo, sempre che tutti i papabili optino per il prestito, anche se su questo i dubbi sono tantissimi. Infatti non tutti accetteranno a fronte di 3 anni massimo di uscita anticipata, di indebitarsi per 20 anni. Bisognerà accettare che dal compimento di 66 anni e 7 mesi, che poi è l’età di uscita prevista dalla Fornero per la pensione di vecchiaia, cioè quando si andrà davvero in pensione, bisognerà restituire quanto anticipato dalle banche.