Ormai è confermato che l’intervento più importante di questa mini riforma delle Pensioni, sarà l’APE. Questo strumento, creato per rispondere alle esigenze di flessibilità del mondo previdenziale, non sarà certo l’unico. Importanti misure dovrebbero riguardare le pensioni minime, quelle più basse, intorno ai 1.000 euro al mese. I provvedimenti allo studio sono rivolti alle pensioni future, ma anche e soprattutto a quelle già in essere, che hanno bisogno di essere rimpinguate per renderle più dignitose. Ecco una serie di ipotesi che il Governo sta valutando per queste tipologie di pensioni.

Si parla di 1,5 miliardi di euro

Il punto su cui si sono lasciati Governo e sindacati nell’ultimo incontro del 29 luglio è fermo ad una richiesta di 2,5 miliardi da parte dei rappresentanti dei lavoratori, a fronte di 500/600 milioni che l’Esecutivo pensa di inserire. A dire il vero, i soldi di cui parla il Governo, servirebbero solo per finanziare l’APE, o meglio per rendere l’APE meno aggressiva dal punto di vista della rata, per soggetti meritevoli di tutela e per pensioni di basso importo. In cantiere però, l’Esecutivo ha altre urgenze previdenziali e quindi altre misure da inserire nel pacchetto, tanto che esponenti del Governo come Nannicini e Poletti, a più riprese hanno parlato di cifre maggiori.

Non si arriverà certo ai 2,5 miliardi che servirebbero secondo i sindacati, ma è possibile ipotizzare uno stanziamento vicino al miliardo e mezzo di euro. Bisognerà infatti coprire le uscite di quelli che potranno ricongiungere gratuitamente i contributi versati in diverse casse previdenziali. Molti soggetti oggi ancora al lavoro per via del pesante contributo richiestogli per le ricongiunzioni onerose, probabilmente sfrutteranno subito l’occasione.

Stesso discorso per i precoci che potranno sfruttare il bonus del 50% di valore aggiunto ai contributi versati prima dei 18 anni. O gli edili ed i lavoratori in altura che con tutta probabilità saranno trattati alla stregua dei lavoratori impegnati in attività usuranti, cosa che oggi non è così.

Interventi anche per chi la pensione già la percepisce

Dopo la pausa estiva, l’agenda del Governo è già stata stilata, con incontri previsti per il 6, 7 e 12 settembre, il primo sul tema dell’occupazione, il secondo sulla previdenza e l’ultimo, forse quello cruciale, dove il Governo stilerà il programma completo da presentare ai sindacati. Oltre alle misure per le pensioni future, ci si aspetta anche interventi per quelle già in essere. Probabilmente, queste misure non entreranno (almeno non tutte) nella Legge di Stabilità e saranno posticipate a 2017 in corso, ma fatto sta che il Governo dimostra l’intenzione di aprire anche sulle pensioni minime. Si pensa ad estendere la quattordicesima mensilità che oggi oscilla tra i 336 ed i 504 euro a pensionati di oltre 64 anni, in base ai contributi versati e con redditi sotto i 9.786,86 euro (intesi al lordo).

Due sono le opzioni in campo, quella di aumentare le soglie reddituali, cioè consentire anche a chi ha redditi più alti (si parla di redditi fino a 16.000 euro) di percepirla, oppure incrementare il valore della quattordicesima, aggiungendovi una specie di bonus da 80 euro. Quest’ultimo punto, per esempio, è sponsorizzato dal Presidente della Commissione Damiano, secondo il quale, aumentare la quattordicesima servirebbe ai pensionati incapienti, quelli che non riceverebbero vantaggi dall’estensione della no tax area. Questa infatti è un’altra misura su tavolo del Governo, cioè l’aumento delle detrazioni fiscali e dell’esenzione dalle tasse che per le pensioni oggi è fissata ad 8.000 euro di reddito per pensionati over 75.

Il Governo studia l’aumento della no tax area fino a 8.145 euro di redditi, equiparando il limite a quello dei lavoratori dipendenti, sposando di fatto un vecchia battaglia dei sindacati, l’uguaglianza di trattamento fiscale tra redditi di lavoro e redditi di pensione.