Si continua a parlare dellaLegge n.104/92. Questa volta lo fa la Corte di Cassazione, la quale ha statuito di nuovo che, se i permessi concessi al lavoratore sono utilizzati per altri scopi, diversi dall’assistenza al parente affetto da gravi patologie o disabilità, la PA competente o il datore di lavoro può licenziaresubito il dipendente.C’è da dire che è molto ampia la casistica sugli abusi legati alla Legge n.104/92, che riconosce a tutti i lavoratori con un familiare portatore di handicap a carico, la facoltà di chiedere 3 giorni di permessomensili retribuiti.

Tutta la magistratura, e anche l’INPS, si sono sempre schierate contro tale piaga che colpisce, in primis, il settore scolastico e rappresenta una triste realtà anche in molte aziende pubbliche e private. L’ente di previdenza ha stabilito, inoltre, che tutte le P.A. e le scuole dovranno rendere noti i dati su chi chiede i permessi in base alla L. n.104/92, comunicando le relative generalità.

L'Inps, quindi, avrà il compito di capire se il permesso concesso è stato utilizzato per prestare realmente assistenza al familiare bisognoso. Ma c’è di più, perché anche i datori di lavoro potranno ingaggiare degli investigatori privatiche avranno l’incarico di raccogliere prove fotografiche o documentali per smascherare le reali attività dei lavoratori.

Quali sono i presupposti per il rilascio del permesso?

Nell’ottica, quindi, di scongiurare il reiterarsi di episodi difalse dichiarazioniin tema di permessi della Legge 104, anche la Cassazione, con la recente sentenza n.17968/2016, ha rigettato il ricorso di una dipendente, proposto dopo che era stata licenziata dal Comune presso il quale lavorava.

Il caso sottoposto all’esame dei giudici di legittimità ha riguardato la contestazione mossa dal Comune alla dipendente, ritenuta colpevole di aver utilizzato 38 ore e 30 minuti del permesso speciale per recarsi in un'altra città per frequentare le lezioni universitarie di un corso di laurea e sostenere i relativi esami. La prova dell’abuso era stata dimostrata dalle indagini svolte dalla polizia, che aveva pedinato la dipendente nelle giornate in cui aveva usufruito dei permessi relativi alla L.

n.104. Le motivazioni sottese alla decisione, che ha dato ragione al Comune, sono da rintracciarsi nel fatto che tali permessi non hanno una funzione di ristoro delle energie impiegate per assistere il familiare.

Ne consegue che l’utilizzo del permesso, e quindi l'assenza dal posto di lavoro, devono porsi in nesso causale diretto con lo svolgimento dell'attività di assistenza al disabile. Del tutto inconsistente la tesi difensiva della signora, che aveva sottolineato che assisteva il familiare disabile di sera, al rientro dalle lezione universitarie. Per gli "Ermellini" la prestazione assistenziale deve essere svolta in coincidenza temporale con i permessi accordati.

Quando scatta il licenziamento per giusta causa?

Gli "Ermellini" hanno chiarito, dunque, che la norma non ammette eccezioni, ovvero non consente di utilizzare i permessi per necessità diverse da quelle espressamente previste. Se manca il nesso causale sopracitato, e quindi il permesso viene usato impropriamente, si configura una condotta illegittima da parte del dipendente poiché:

  • il datore di lavoro o la P.A. vengono privati ingiustamente della prestazione lavorativa, dato che il permesso implica sempre un sacrificio organizzativo
  • si verifica un’indebita percezione dell’indennità ed un danno patrimoniale (erariale) per l’Ente di previdenza che eroga il relativo trattamento economico.

L’abuso o l’uso improprio dei permessi, conclude la Cassazione integrando un illecito disciplinare e una grave violazione degli obblighi gravanti sul dipendente, rende pertanto sempre legittimo il licenziamento per giusta causa. Per restare aggiornati in tema di diritto, potete premere il tasto "segui" accanto al nome dell'autore.