Il 15 ottobre il Governo ha confermato l’introduzione dell’APE nel sistema previdenziale italiano, inserendo la misura in Legge di Bilancio. Dal prossimo 1° maggio, l’anticipo pensionistico sarà un altro canale di uscita dal lavoro per il meritato riposo. Ma la novità non cancella la Legge Fornero e nemmeno le varie deroghe alla stessa che ancora esistono. Numerose sono le possibilità di lasciare il lavoro, ad età ed in fasi diverse a seconda della tipologia di lavoratore e del suo sesso.

Pensione di vecchiaia, quando?

I dati dell’osservatorio INPS sulle Pensioni pubblicati ieri hanno esposto un dato particolare, cioè il calo delle domande di pensione nella prima parte del 2016.

Il dato dimostra come nei primi 9 mesi del 2016 le domande sono state il 36% in meno di quelle dei primi 9 mesi del 2015. Lo stato d’animo degli italiani quindi non è stato di paura per la riforma in arrivo, perché nessuna corsa alla pensione si è verificata. Evidente che la riforma delle pensioni è attesa come un toccasana per chi aspira ad andare in pensione e spera di evitare la durezza delle regole dell’attuale Legge Fornero. L’APE per esempio, nonostante i dubbi che lo accompagnano e le evidenti penalizzazioni di assegno, serve per anticipare l’uscita rispetto alla pensione di vecchiaia. La pensione di vecchiaia altro non è che la rinuncia obbligatoria ad una parte di stipendio, che grava sul lavoratore durante gli anni di lavoro e che deve garantire una rendita dopo aver lasciato il lavoro.

Le regole della Fornero hanno fissato l’età pensionabile a 66 anni e 7 mesi, uniti a 20 anni di contributi versati. Con l’APE si uscirà a scelta del lavoratore a partire dai 63 anni di età. Per chi avrà assegni previdenziali sopra € 1.500 o che non avrà particolari problemi, tali da “obbligarlo” ad accettare l’APE, l’anticipo sarà prestato da una banca e sarà il lavoratore, a partire dai 66 anni e 7 mesi a restituire i soldi con spese, oneri ed interessi.

Per disabili, disoccupati o chi assiste familiari invalidi, lo Stato si farà carico di restituire il debito, ma anziché 20 anni di contributi, saranno necessari 30. Stessa condizione per edili, maestre di asilo, autisti e così via, cioè le nuove categorie che dovrebbero essere considerate alla stregua o quasi dei lavori usuranti.

In questo caso necessari 36 anni di versamenti.

Vie d’uscita 2017

Per le lavoratrici dipendenti donne, resta in piedi lo sconto di un anno rispetto ai colleghi maschi. Fino a fine 2017, potranno lasciare il lavoro a 65 anni e 7 mesi con 20 di contributi mentre, per le lavoratrici autonome la soglia è fissata a 66,1 anni. Per tutte, dal 1° gennaio 2018, stessa uscita dei colleghi maschi, 66 anni e 7 mesi. Resta attiva anche nel 2017 la deroga Amato, opzione che riduce a 15 anni i contributi necessari per la pensione, purché versati prima del 1993. Occasione questa appannaggio anche di chi è stato autorizzato ai versamenti volontari sempre prima del 1993. Uscita anche per chi ha 15 anni di contributi insieme ad una anzianità di 25 anni, cioè i saltuari, quelli che per tipologia di lavoro, hanno accumulato 15 anni di contributi lavorandone 25.

Per quelli che hanno 15 anni di contributi, ma non rientrano tra i requisiti della Amato, possono sfruttare l’opzione Dini. In questo caso, necessario aver versato 5 dei 15 anni di contributi dopo il 1995. Resta anche la quota 96 per coloro che la hanno raggiunta al 31 dicembre 2011 e che al 28 dello stesso mese ed anno erano in continuità di lavoro. Chiunque abbia 35 anni di contributi e 61 di età (ma anche 36 e 60), potrà lasciare il lavoro prima dei 66 anni e 7 mesi e soprattutto, non ripiegare sull’APE e sulla pensione in prestito in essa contenuta. Quest’ultimo scivolo è ancora più attraente per le donne, alle quali, fermi i requisiti di età anagrafica necessari, possono lasciare il lavoro se prima del 2012 aveva chiuso i 20 anni di versamenti.