A pochi giorni dalla pubblicazione della sentenza della Corte di Cassazione del 23 dicembre 2016 che, nel caso della legge 104, ha fatto venire meno l'obbligo di assistenza continuativa, un altro punto controverso è stato tirato in ballo in questi giorni dai giuristi più esperti in materia, ovvero quello del trasferimento del familiare convivente. E' ancora la Corte di cassazione a dettare le leggi della giurisprudenza questa volta, e lo fa con la sentenza n.25379 specificando che "il lavoratore che convive e assiste continuativamente un familiare disabile entro il terzo grado, non può essere trasferito dal datore di Lavoro in una diversa sede, se non con il suo consenso". Come è già noto, però, la legge aveva già previsto all'art.
33 la stessa cosa; quest'ultimo infatti affermava che "il genitore o il familiare convivente con un parente entro il terzo grado handicappato - che lo assista con continuità - ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso in altra sede”.
La svolta degli ultimi giorni, dunque, dove sta?
Per rispondere a questa domanda dobbiamo rifarci ai requisiti di chi usufruisce di questa agevolazione. E in particolare specificare che, se in passato era necessario che lo stato di invalidità fosse riconosciuto come "grave", adesso questo non è più richiesto. L'ambiguità del testo di legge infatti ha spesso lasciato spazio a diverse interpretazioni e la gravità dello stato di salute del familiare negli anni passati aveva giocato un ruolo importante, mentre oggi si è lasciato spazio ad una diversa interpretazione giurisprudenziale, la quale non associa la gravità allo stato di salute ma all'importanza dell'assistenza.
E cosa vuol dire questo? Semplicemente che tanto più il soggetto ha bisogno di assistenza (indipendentemente dalle sue condizioni di salute) per essere tutelato, tanto più sarà necessario riconoscere al familiare la possibilità di assisterlo nel miglior modo possibile, per garantire a quest'ultimo la "tutela della persona" prima di ogni altra cosa.
Il trasferimento è possibile anche senza il consenso del familiare
Per ogni regola, tuttavia, vale sempre un'eccezione e la giurisprudenza ha cercato di essere chiara e concisa anche in questa occasione, specificando infatti subito dopo che, comprovati motivi gravi e d'urgenza, permetteranno al datore di lavoro di trasferire il lavorotore che assiste il familiare disabile/invalido (a seguito della 104) indipendente dal suo consenso o dalla sede lavorativa scelta.
Dunque l'inciso, secondo il quale dal consenso del lavoratore - che assiste il familiare - dipende il trasferimento, viene meno in tutti quei casi in cui i motivi del cambiamento dipendono da motivi "gravi e d'urgenza" dell'azienda.