Molte misure contenute nella Legge di Bilancio e che attendono i decreti attuativi, sono assolute novità per il sistema previdenziale. Due su tutte, sono sotto la lente di ingrandimento dei cittadini e occupano spazio per la discussione quotidiana. SI tratta di APE e Quota 41, la prima destinata a soggetti prossimi alla pensione di vecchiaia e la seconda per coloro che si avvicinano ai contributi necessari per la pensione di anzianità (oggi si chiama pensione anticipata). Se l’APE è un provvedimento sperimentale, cioè avviato per un triennio e per il quale verrà avviato un monitoraggio per valutarne la bontà, quota 41 è strutturale.

La pensione per i precoci è una misura che entra in pieno tra le varie vie per lasciare il lavoro e andare in pensione.

L’incontro del 23 aprile

In premessa parlavamo di decreti attuativi, di quegli atti che avviano le misure e che mettono nero su bianco requisiti, procedure e tutto quello che c’è da sapere per sfruttare le opzioni. Questi decreti, che dovevano essere emanati entro il 2 marzo, sono in sostanziale ritardo, tanto è vero che nemmeno ieri sera, dopo l’ennesimo incontro tra Governo e sindacati, sono stati emanati. Il ritardo però non è collegato alla presunta volontà di correggere parte del testo fuoriuscito dalla Legge di Bilancio, perché Poletti, a margine dell’incontro ha ribadito come oggi, la cosa necessaria è far partire le misure.

In pratica, il 1° magio, anche quota 41 partirà come era stata predisposta a suo tempo e per eventuali correttivi, se ne riparlerà con tutta probabilità, nella prossima Manovra di Bilancio.

Chi sono i precoci a cui si applica

Quota 41 quindi è destinata ad una parte di lavoratori considerati precoci. Necessari 41 anni di contributi, dei quali, almeno 12 mesi devono essere stati versati, anche in maniera discontinua, prima del compimento dei 19 anni di età.

Non tutti i lavoratori che centrano il requisito contributivo come specificato sopra, perché in parallelo, servono altri tasselli. In primo luogo, bisogna essere disoccupati privi di ammortizzatori sociali da almeno 3 mesi. In alternativa, invalidi con il 74% di disabilità minima accertata dalle Commissioni Sanitarie competenti, oppure con invalidi a carico dello stesso tipo.

Infine, via libera a maestre di asilo, edili, gruisti, camionisti, conduttori di treni, addetti alle pulizie, addetti ai rifiuti, facchini, infermieri delle sale operatorie, assistenti persone non autosufficienti e conciatori di pelli. Si tratta di 11 categorie di lavoratori impegnati in attività gravose e riconosciute così, dal punto di vista normativo, dall’ultima manovra finanziaria.

Platea ristretta?

Requisiti piuttosto stringenti già come base, talmente ristretti che parlare di quota 41 per tutti, come rivendicato dai gruppi e comitati di lavoratori precoci che pullulano sui social è un puro eufemismo. Si tratta di un intervento che aiuta soggetti in stato di necessità, sociale, finanziaria o lavorativa, un intervento assistenziale più che previdenziale.

Alla ristrettezza dei requisiti generici di accesso, si affiancano paletti che tagliano ancora il perimetro di applicazione di quota 41. Tutti paletti che i sindacati non sono stati in grado di far inserire già oggi nel pacchetto normativo. Poletti ha ribadito di volere tornare sull’argomento a misure avviate, ma intanto, i 6 anni di continuità lavorativa, la disoccupazione figlia del licenziamento e la tipologia di attività, restano tali. Quindi, per l’accesso bisogna essere al lavoro come attività gravosa negli ultimi 6 anni senza sosta, bisogna essere stati licenziati e non provenire da un contratto a termine e l’attività gravosa è di settore aziendale e non di mansione svolta.