1° maggio giornata dei lavoratori ma non delle lavoratrici: l’Italia non è proprio un paese per donne. A causa della scarsa partecipazione femminile al mercato del lavoro, la penisola è in grave ritardo sui livelli di occupazione rispetto agli altri paesi europei. Ad affermarlo è l’osservatorio di statistica dei consulenti del lavoro. La fotografia scattata dal Cdl sulla condizione lavorativa delle donne, mostra un paese dove è molto forte sia il divario di genere che le differenze tra il nord e il sud della penisola. Sono Neet 1,1 milioni di ragazze tra i 15 e i 29 anni; risulta disoccupata il 39,6% della forza lavoro giovanile femminile; e molte mamme scelgono di non svolgere un lavoro retribuito a causa degli stipendi troppo bassi e per il costo troppo elevato degli aiuti esterni.
Gender gap: perché tante donne non lavorano
Il divario di genere occupazionale (gender gap) misura la differenza tra il numero totale di uomini e donne che svolgono un lavoro retribuito. In Italia è particolarmente elevato, visto che solo il 48,1% delle donne risultano occupate, con forti differenze sul territorio nazionale. L’unica provincia del sud in cui si osserva un basso gap di genere occupazionale, rientrando tra le 10 più virtuose, è quella dell’Ogliastra (7%); mentre le altre 9 sono tutte del centro-nord a partire da Arezzo (6,1%) e Biella (6,4%) che guidano la classifica. La provincia di Barletta-Andria-Trani, con il 33,7%, guida la classifica negativa con la differenza più alta tra il tasso d’occupazione maschile e femminile, seguita da Foggia (30,3%) e da Brindisi (27,6%).
Maglia nera alla provincia del centro-nord Rovigo (27,2%). Il tasso di disoccupazione femminile è dovuto sia allo squilibrio nella gestione del lavoro casalingo (numero di ore dedicate da uomini e donne alla cura dei figli e ai lavori domestici) sia alla carenza e al costo troppo elevato dei servizi all’infanzia, ma soprattutto a causa della bassa aspettativa retributiva delle donne.
Nel soppesare la scelta tra il lavorare fuori casa o dedicarsi esclusivamente alla famiglia, le mamme tengono conto sia di quanto guadagnerebbero se lavorassero per un datore di lavoro sia di quanto pagherebbero per farsi sostituire nella cura dei figli e nei lavori casalinghi. In Italia le spese per le tate e per gli aiuti domestici molto spesso supera o riduce drasticamente lo stipendio percepito, spingendo molte donne a rimanere in casa.
Il tasso più elevato d’occupazione femminile si registra a Bologna dove lavorano i due terzi delle donne (66,5%), mentre a Barletta-Andria-Trani lavora meno di un quarto della forza lavoro femminile (24,1%). Sono superiori al 63% le donne occupate in altre 3 province italiane, tra le quali Bolzano (66,4%), Arezzo (64,4%) e Forlì-Cesena (63,3%), mentre a Napoli (25,5%), Foggia (25,6%) ed Agrigento (25,9%) lavora solo un quarto della popolazione femminile.
Le Neet, i tassi di disoccupazione femminile e le donne inattive
Sono 2,1 milioni il numero totale di giovani tra i 15 e i 29 anni (i cosiddetti Neet) che nel 2016 non hanno lavorato, studiato o frequentato corsi di formazione. Le ragazze che rientrano in questa categoria sono 1,1 milioni, in flessione rispetto al 2015 (-49 mila unità, pari a -4%).
Alti anche i valori del tasso di disoccupazione giovanile femminile (39,6%, a fronte del 36,5% tra i maschi), una differenza dovuta anche alla maggiore propensione delle ragazze a proseguire gli studi superiori. Ma anche nel loro caso le differenze tra le province sono molto alte: con la provincia di Catanzaro (86,9%) che supera di 80 punti percentuali la provincia di Verbano Cusio Ossola (6,9%). È il Medio Campidano, con il 35,9%, la provincia italiana con il tasso più elevato di disoccupazione femminile, mentre quello più basso si registra a Bolzano dove solo il 4,1% delle donne attive è in cerca di un’occupazione, seguito a ruota dalle province di Reggio Emilia (5,2%), Biella (5,6%) e Verona (5,9%).
Tassi d’occupazione femminile superiori al 25% si registrano anche in altre 6 province quali Crotone (33,3%), Siracusa (28,4%), Cosenza (28,3%), Palermo (27,8%), Lecce (27,5%) e Napoli (27,2%). In totale sono poco più di 3 milioni di disoccupati ma quasi 3,5 milioni gli inattivi, ossia la quota di persone che non partecipano al mercato del lavoro (né occupati né in cerca di occupazione). In Italia sono inattivi il 35,1% delle persone fra i 15 e i 64 anni. É Foggia la capitale dell’inattività femminile con il 68,1% delle donne che non lavorano e non cercano un’occupazione, mentre sono solo il 29,2% le bolognesi. Tassi d’inattività femminile molto alti anche a Barletta-Andria-Trani (67,6%), Caltanissetta (66,7%) e Agrigento (66,5%), molto più bassi a Ravenna (30,6%), Bolzano ed Arezzo (30,8%).
Contratti part-time e buste paga leggere per le donne
A sorpresa i contratti atipici (non standard) sono più diffusi tra gli uomini (37,6%) che tra le donne (32,3%). Ma le lavoratrici risultano fortemente penalizzate dai contratti di lavori part-time. Sono un terzo le donne occupate con contratti a tempo parziale che si ritrovano a fine mese una basta paga molto più leggera di quella maschile. La differenza retributiva tra maschi e femmine è, infatti, del 19,2% per quanto riguarda il lavoro part-time, mentre tra i dipendenti a tempo pieno il differenziale tra uomini e donne è pari al 9,2%. In totale le donne guadagnano il 31,7% in meno rispetto agli uomini a Carbonia-Iglesias, mentre a Caltanissetta la differenza di stipendio tra la componente maschile e femminile è pari solo al 9,2%.