Le donne italiane si piazzano al quarto posto tra i Paesi Ocse quando si parla di tempo dedicato al lavoro "non pagato", ovvero quello rivolto alla cura della casa e dei figli. Infatti sono oltre cinque le ore che in media la donna italiana passa in casa. Questo lo si deve soprattutto alla scarsa collaborazione che gli uomini italiani offrono alle proprie partners, che infatti con un'ora e mezza al giorno in media, si piazzano sempre al quarto posto, ma in questo caso tra i meno impegnati nelle varie attività di cura della famiglia. E' quanto emerge dai dati contenuti in uno studio OCSE che analizza la situazione nei principali paesi sviluppati.
Paesi latini e mediterranei tra i meno collaborativi
Non cambiano le cose quando a lavorare sono entrambi i i genitori. In questo caso la condivisione totale del tempo trascorso per sbrigare le faccende casalinghe non la si raggiunge neanche nei paesi nordici, infatti in questi paesi, che sono da sempre considerati simbolo di uguaglianza, la media varia tra le tre e le quattro ore per le donne e tra le due e mezza e tre per gli uomini. I paesi "peggiori" sono quelli latini e del mediterraneo (italia, Portogallo e Turchia), dove la donna passa in casa più di cinque ore, e due paesi asiatici (Giappone e Corea), dove gli uomini dedicano al cosiddetto "lavoro non pagato" meno di un'ora al giorno.
Disoccupazione femminile
L'Italia, avendo un tasso di disoccupazione femminile tra i più alti d'Europa, ha di conseguenza il divario più alto tra donne e uomini sul lavoro non pagato. Questa forbice risulta invece meno marcata in quelle coppie con un alto livello di istruzione. La presenza di figli solitamente fa sì che il divario aumenti, poichè nel nostro paese è la donna che sta in casa ad accudire la prole, mentre l'uomo fa più ore di lavoro pagato fuori dalle mura domestiche.
Questo divario porta anche ad un'infelicità da stress che vede le nostre donne nelle prime posizioni di questa speciale classifica.
Forse un aumento dell'occupazione femminile porterebbe a quell'equilibrio che nel 21° secolo dovrebbe essere la normalità.