Continua a tenere banco la vicenda dei decreti attuativi di APE e Quota 41, le due grandi novità previdenziali che sarebbero dovute partire il 1° maggio. I decreti che dovevano essere pronti a febbraio, sono in fase di ultimazione, con il primo, quello sull’APE sociale che è in valutazione, come da prassi, presso il Consiglio di Stato. Secondo quest’ultimo, sono diversi i problemi di illegittimità presenti nel decreto, tanto che viene chiesto al Governo di correre ai ripari e di correggere molti punti del testo. L’occasione è l’approvazione della manovra bis chiesta da Bruxelles al Governo, nella quale ha fatto capolino anche quota 41.

Proprio nella manovrina, anche i sindacati, che sono stati ricevuti in audizione ieri alla Commissione Bilancio della Camera, chiedono che vengano rettificati alcuni dei punti dolenti delle nuove misure.

La continuità lavorativa

Come ormai si sa, sono 11 le categorie di lavoratori che rientreranno tra quelli considerati alle prese con attività logoranti. Maestre di asilo, facchini, edili, gruisti e così via, rientrano tra i possibili fruitori dell’APE sociale e di quota 41. Per chi si trova a meno di 3 anni e 7 mesi dal raggiungere 66 anni e 7 mesi di età, cioè il limite per la pensione di vecchiaia, con almeno 20 anni di contributi versati, possibile lasciare il lavoro prima con l’APE agevolata, quella a carico dello Stato.

Per chi tra questi ha 41 anni di contributi, dei quali, almeno uno versato prima dei 19 anni di età, c’è quota 41, la pensione anticipata senza limiti anagrafici. Oltre ai requisiti anagrafici e contributivi ed al rientrare tra le 11 categorie dei lavori gravosi, bisogna centrarne altri come la continuità lavorativa di 6 anni prima della presentazione dell’istanza.

Nel decreto di attuazione dell’APE sociale, ma anche nella parte di manovrina che tratta quota 41, viene confermata la franchigia di 12 mesi ai 6 anni richiesti. In altri termini, un lavoratore, per presentare istanza di accesso all’APE sociale o a quota 41, dovrà aver lavorato continuativamente, nelle attività gravose, per 6 degli ultimi 7 anni prima della domanda.

Per i sindacati questo non basta, perché ad alcune categorie come gli edili, 12 mesi sono pochi. Ecco che in Commissione Bilancio, la CISL ha chiesto di ampliare a 24 mesi la franchigia già inserita a correzione della norma che inizialmente non ne prevedeva alcuna.

Requisiti contributivi da ridurre

Anche la CGIL ha mosso appunti verso l’apparato normativo delle due misure, soprattutto in virtù dei 36 anni di contributi richiesti ai lavori gravosi per l’accesso allo scivolo per i precoci ed all’Anticipo Pensionistico. Abbassare questa soglie a 35 anni come funziona per gli usuranti o addirittura a 30 come richiesto a coloro che rientrano tra i disoccupati, altra categoria alla quale si può applicare l’uscita con l’APE sociale, questo quello che è stato chiesto dal sindacato della Camusso.

Sempre secondo la CGIL, in sede di approvazione dei decreti sulla manovrina, questo correttivo potrebbe essere facilmente inserito. Il tema dei disoccupati è quello sul quale il Consiglio di stato ha mosso appunti di illegittimità al Governo. Il vincolo di aver goduto a pieno della NASPI per poter centrare l’APE sociale, va corretto. Il Consiglio di Stato chiede all’Esecutivo di inserire tra i beneficiari dell’APE anche coloro che non hanno goduto dei sussidi per disoccupati perché non ne avevano i requisiti oppure i lavoratori agricoli che percepiscono le indennità, l’anno successivo a quello in cui perdono il lavoro. Tra le altre cose, andrebbe corretto anche il vincolo del licenziamento che esclude dai beneficiari dell’APE coloro che hanno perduto il lavoro per scadenza del contratto e non per licenziamento.

In pratica, il precario che lavora con contratti a termine, anche avendo percepito la NASPI, non potrebbe rientrare nell’APE sociale perché non ha perduto il lavoro a seguito di licenziamento. Discriminazioni e differenze che come dicevamo, il Consiglio di stato ha evidenziato.