Probabilmente nemmeno questa volta il Governo ha centrato l’obbiettivo per dotare di flessibilità il sistema previdenziale italiano, perchè la pensione di garanzia di cui tutti i giornali parlano oggi, non cambia i requisiti rigidi di accesso alle Pensioni come la Legge Fornero impone. Nel summit di ieri 30 agosto tra Governo e sindacati, l’argomento centrale è stata la fase 2 della riforma e la pensione per i giovani. Il Governo ha confermato l’idea di inserire nell’ordinamento previdenziale nostrano una pensione di garanzia, cioè un assegno pensionistico minimo da dare ai giovani lavoratori di oggi e futuri pensionati.

Le indiscrezioni delle ultime settimane su come doveva funzionare questo strumento sono però state disattese. Ecco come funzionerà la novità per i giovani, con tutti i dettagli.

Pensione minima

I giovani di oggi si trovano a dover fare i conti con diverse situazioni che ne mettono a rischio la pensione futura. Disoccupazione, lavoro saltuario e precario e norme pensionistiche vigenti sono pesanti fardelli per chi oggi deve lavorare per garantirsi la pensione domani. Le difficoltà a trovare un lavoro di lunga durata e le forme particolari di lavoro come il precariato o il part time, non consentono ai lavoratori di accumulare tanti contributi quanti ne prevedono le norme oggi. Basti pensare che servono 42 anni e 10 mesi per la pensione anticipata, 41 per lo scivolo precoci, tra i 30 ed i 36 per l’Ape sociale e 35 per l'opzione donna.

Poi ci sono le pensioni con requisito anagrafico, come quella di vecchiaia per la quale sono necessari solo 20 anni di versamenti ma con la veneranda età di 66 anni e 7 mesi che salirà a 67 nel 2019. Dell’Ape volontaria non ne parliamo nemmeno perché ancora non è partita e poi perché nonostante si prende con 63 anni di età e 20 di contributi, più che una pensione è un vero e proprio prestito bancario.

Tornando ai giovani il sistema di calcolo compromette oltre modo gli importi spettanti. Le pensioni sono infatti calcolate con il sistema contributivo ed è evidente che i pochi contributi versati a proprio nome, oppure i contributi di basso valore per via del precariato e dei part time, significano pensioni misere domani. Ecco che il Governo sta pensando di varare una pensione minima da 675 euro al mese, proprio per evitare di avere disoccupati e precari oggi, e pensionati poveri in futuro.

Un meccanismo poco chiaro

Quindi, 675 euro di pensione minima per i giovani di oggi, ma come al solito, non per tutti e con paletti e vincoli particolari. Chi non ha contributi tali da poter richiedere le normali pensioni, oggi deve aspettare 70 anni e 7 mesi con 5 anni di contributi versati (vecchiaia contributiva), oppure virare sulla classica pensione sociale. Proprio la pensione sociale è il tassello a cui pensa il Governo per arrivare alla pensione minima di garanzia. Dal punto di vista tecnico il piano del Governo punta ad aumentare la cumulabilità dell’assegno sociale con la pensione liquidata con il sistema contributivo. Per tutti i lavoratori che hanno maturato pensioni sotto la soglia delle 500 euro mensili, la cumulabilità che oggi è fissata a 150 euro, salirebbe a 225 euro, proprio per portare le pensioni fino a 675 euro.

Si tratta di estendere il trattamento minimo, di potenziarlo e, soprattutto, la misura ed il suo particolare meccanismo sarebbero appannaggio solo di coloro che hanno iniziato a lavorare dopo il 1995, cioè interamente nel sistema contributivo.