Sono 102 le procedure di licenziamento per i lavoratori di Sky Italia: inizialmente, le persone coinvolte dalla riorganizzazione del colosso televisivo erano 571, ma per l’82% si sono trovate soluzioni consensuali.

Sky Italia: aumentano i ricavi (e i licenziamenti)

È davvero difficile trovare una spiegazione alla riorganizzazione di Sky in Italia che nel corso dei mesi si è concretizzata in una drastica riduzione del personale. In questo processo, il ruolo principale lo ha svolto il trasferimento di gran parte della sede romana nella città di Milano.

E già qui sorge il primo interrogativo: come può accadere che la Capitale – politica e amministrativa – d’Italia, subisca il ridimensionamento della redazione di un’emittente che proprio dell’informazione politica fa uno dei suoi punti di forza? Ma soprattutto: come mai, un’azienda che solo pochi giorni fa ha annunciato un aumento degli utili del 139% (con ricavi che aumentano del 4%), ricorre alla drammatica misura dei licenziamenti?

La 'riorganizzazione' di Sky Italia

Come aveva annunciato lo scorso gennaio dunque, Sky Italia sta motivando i tagli previsti con la riorganizzazione. Lo scorso 16 maggio era stata avviata la procedura e già dal primo giorno l’azienda aveva reso noto che l’82% dei dipendenti aveva aderito alla social mitigation, ovvero a una soluzione che prevedeva 24 mensilità come buonuscita oppure che consisteva nel trasferimento a Milano.

Per molti dipendenti, però, il trasferimento nel capoluogo lombardo era impossibile per motivi familiari e logistici. Nel frattempo, lo scorso marzo, durante l’udienza in piazza San Pietro, Papa Francesco aveva rivolto il suo appello a Sky Italia: “ll lavoro – aveva dichiarato Bergoglio – ci dà dignità e i responsabili dei popoli, i dirigenti, hanno l’obbligo di fare del tutto purché ogni uomo e ogni donna possa lavorare e così avere la fronte alta, guardare in faccia gli altri con dignità.

Chi per manovre economiche, per fare negoziati non del tutto chiari, chiude fabbriche, chiude imprese e toglie il lavoro agli uomini, questa persona fa un peccato gravissimo”.

Sky Italia e le proposte dei sindacati

Poi, per scongiurare i licenziamenti dei restanti dipendenti, le organizzazioni sindacali avevano avanzato varie proposte all’azienda: tra le richieste, c’era la trasformazione dei contratti in part-time, oppure che i lavori amministrativi fossero lasciati a Roma facendoli svolgere da remoto (come del resto già vengono effettuati); sono state ipotizzate forme di lavoro che dovrebbero essere normali per un’azienda all’avanguardia come Sky (lo smart-working o il telelavoro); è stato chiesto il Fis – fondo integrativo salariale – per tutte quelle persone che non potevano essere ricollocate né a Milano né a Roma e che sarebbero andate un anno in Fis per poi cercare di trovarsi un lavoro.

Niente da fare: Sky Italia ha sempre rifiutato queste offerte, pretendendo – secondo le organizzazioni sindacali - di scegliere chi mandare a Milano e chi ricollocare su Roma, licenziando tutti gli altri.

Il silenzio della politica

In tutto questo la politica locale cosa ha fatto? “Le istituzioni non ci hanno dato una mano – hanno fatto sapere alcuni dipendenti rimasti molto delusi – né il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, né l’assessore al Lavoro della Regione Lazio, Lucia Valente, si sono mai interessati. La Valente, si è presentata solo a fine riunione per invitarci a firmare un accordo secondo lei buono. Anche il ministero del Lavoro si è schierato a favore dell’azienda e non certo dei lavoratori”.

“Sky deve attenersi alle regole e alle leggi italiane – ha dichiarato il capogruppo di Fratelli d’Italia-Alleanza nazionale Fabio Rampelli – Ci sono responsabilità importanti di cui devono farsi carico i veri imprenditori con il corollario di illuminati manager al seguito. Ma ci sono pensatissime responsabilità anche politiche e istituzionali. Il pesante ridimensionamento della sede romana alla quale i governi locali, con Raggi e Zingaretti, hanno assistito praticamente inermi è un ulteriore passo verso la desertificazione economica e imprenditoriale della Capitale, priva di quelle capacità attrattive e di mantenimento degli investimenti che dovrebbero contraddistinguerla. Credo sia davvero il momento di porre nuovamente ma diversamente dal secolo scorso, la Questione romana al centro dell’agenda del governo italiano”.