L’ultimo capitolo della vicenda previdenziale che sta impegnando incessantemente Governo e sindacati è datato 13 settembre. In quella data infatti è stato espletato l’ennesimo incontro tra Esecutivo e parti sociali in materia previdenziale. Atteso come una tappa fondamentale per la fase 2 di riforma, il summit si è chiuso con un sostanziale nulla di fatto. Nulla di nuovo e fuoriuscito dall’incontro, se si esclude il fatto che il Governo si è preso una pausa di riflessione posticipando i prossimi appuntamenti ad ottobre. Resta ancora tanto da fare, soprattutto alla luce delle proposte che allo stesso incontro hanno fatto i sindacati.

Cosa bisogna fare

I temi su cui i sindacati hanno ribadito la loro posizione e sui quali il Governo ha dichiarato di essere pronto all’ascolto sono i soliti. Si parte dalla pensione di garanzia per i giovani lavoratori di oggi e futuri pensionati di domani. Andrebbe limato l’importo minimo da erogare come pensione di garanzia e soprattutto il meccanismo che consenta di adottare questa soluzione a soggetti che per le leggi vigenti e per le condizioni del lavoro di oggi, sono e saranno svantaggiati. Giovani che oggi non trovano lavoro per via della crisi e che anche quando hanno la fortuna di trovarlo, sono soggetti a contratti precari o saltuari. Giovani che per via del calcolo delle pensioni con il metodo contributivo (oggi unico adottato dalla Previdenza italiana), saranno vessati anche in futuro per quanto riguarda gli importi delle pensioni.

La pensione di garanzia che dovrebbe nascere con la prossima Legge di Bilancio, potrebbe essere da 650 euro al mese. Una pensione minima che nascerebbe dalla fusione di quella normale in base ai contributi versati, con quella sociale, fino al concorso della cifra prestabilita. Ci sarebbero poi da sistemare l’Ape sociale e Quota 41 per permettere a quanti oggi sono esclusi, di rientrare nelle misure.

Il Governo ha aperto a concedere sconti di 6 mesi per ogni figlio avuto dalle madri lavoratrici ed a rendere l’Ape sociale strutturale, ma non basta.

I sindacati e le loro idee

In una nota alquanto polemica, la CGIL ha confermato la posizione sua e delle altre sigle sindacali intervenute al summit, cioè la non soddisfazione piena circa l’operato del Governo.

Su tutte le proposte fatte dai sindacati, la CGIL contesta le mancate risposte, ribadendo il concetto che nessuna risposta è stata data nell’incontro e nessuna sarà data mai se il Governo proseguirà nel suo silenzio. Sui temi quota 41 ed Ape sociale, i sindacati sono tornati a spingere per l’estensione delle misure oltre i paletti inseriti nei decreti. Bisognerebbe consentire anche ai disoccupati che hanno perso il posto di lavoro per la scadenza del contratto o a quelli senza il requisito di accesso alla disoccupazione INPS (la Naspi), di uscire con le due novità previdenziali. Per le donne lo sconto di 6 mesi per figlio sarebbe irrisorio, consentendo 2 anni di anticipo solo sull’Ape sociale e solo per quanto riguarda le lavoratrici che abbiano partorito 4 volte.

La soluzione delle parti sociali sarebbe la concessione di sconti per ogni anno di vita dei figli, fino al sesto anno di età. Solo così si potrebbe tornare a dare valore ai lavori di cura, come quelli previsti in modo più o meno simile dalla vecchia Legge Amato del 1995. Infine, i sindacati hanno toccato il punto dolente della previdenza sociale nostrana, cioè l’aspettativa di vita e gli effetti che questo parametro avrà per le pensioni dal 2019. Per via dell’aumento della vita media che certifica annualmente l’Istat, il Governo sembra intenzionato ad emanare entro fine anno il decreto che farà scattare le pensioni di vecchiaia, per uomini e donne, a 67 anni e quella anticipata a 43 anni e 3 mesi di contributi versati.

I sindacati propongono un blocco generalizzato di questo meccanismo, o quantomeno un blocco che tenga in considerazione le diverse tipologie di lavoro esistenti. La CGIL conclude la nota con un eloquente messaggio al Governo che sottolinea come dopo tanti anni di lavoro alle spalle, e ad una certa età, molti lavoratori non possono e non devono più lavorare.