Almeno per quanto riguarda la querelle del rinnovo del contratto per i lavoratori statali, il Governo ha mantenuto gli impegni presi. Naturalmente le cifre sembrano ancora distanti da quanto chiedevano i sindacati, ma c’è a chi è andata peggio. Sulle pensioni e su quanti auspicavano una manovra che introducesse nel sistema misure utili a superare la riforma Fornero non si è fatto nulla. Per gli statali e per il loro agognato rinnovo del contratto invece qualcosa si è mosso. Nella nuova manovra di Bilancio, che in totale è di 20 miliardi di euro, 2 di questi finiscono sul tema del rinnovo contratti per i lavoratori del Pubblico Impiego.

La dotazione per il contratto

Tutti i quotidiani di questa mattina hanno riportato i numeri fuoriusciti dal Consiglio dei Ministri di ieri sera che ha dato l’ok alla manovra di Stabilità. Due miliardi per gli statali, questo quanto riportato per esempio dal quotidiano “Il Sole24Ore” di oggi 17 ottobre. Naturalmente la partita sulla manovra non è chiusa perché adesso il testo andrà in giro per il Parlamento, con i vari passaggi alle Commissioni e poi alle Camere. Correttivi e cambiamenti sono sempre possibili grazie agli emendamenti che come consuetudine, nei due rami del Parlamento arriveranno in gran numero. In base a quanto successo negli ultimi anni però, ipotizzare stravolgimenti rispetto al testo ieri licenziato è esercizio azzardato, perché se correttivi arriveranno difficilmente correggeranno gli importi di una manovra da 20 miliardi, dei quali ben 16 spesi solo per detonare le clausole di salvaguardia che prevedevano l’aumento dell’Iva.

Impegni rispettati?

Arrivano i soldi per i contratti degli statali e per mantenere l’impegno preso lo scorso novembre sulla base delle ormai famose 85 euro a dipendente. Lo stanziamento previsto inizialmente intorno al miliardo e mezzo di euro è stato implementato. Probabilmente per racimolare quanto necessario a bloccare il rischio che venisse perduto il bonus Renzi di 80 euro a molti di quelli a cui verrà aumentato lo stipendio.

Previsto anche un cospicuo aumento per i presidi delle scuole, in un progetto che mira ad equiparare i loro stipendi a quelli dei dirigenti pubblici. In materia lavoro statale, dopo la stabilizzazione dei precari della Scuola e delle Forze dell’Ordine, nella manovra esce fuori anche la stabilizzazione di circa 1500 percettori di assegno di ricerca presso le Università.

Tornando all’aumento previsto resta da verificare il costo complessivo di una operazione attesa da 8 anni. Niente arretrati e nemmeno indennità di vacanza perché i soldi stanziati sono lontani dalle cifre (tra i 5 ed i 6 miliardi) che chiedevano i sindacati durante gli incontri con il Governo e poi con l’Agenzia per la Contrattazione, cioè l’Aran.

Le cifre

Contributi previdenziali e liquidazioni sono voci che vanno aggiunte alle 85 euro lorde che dovrebbero finire in busta paga ai lavoratori. Si tratta secondo le stime di una spesa annuale per lavoratore pari a poco più di 1.100 euro divise per 13 mensilità. Conti alla mano, calcolando in 3,2 milioni i dipendenti vittime del blocco, come riportato anche nella sentenza della Corte Costituzionale che ha fatto scaturire questo obbligo per il Governo, 2 miliardi sono pochi.

Questo nonostante ci siano i soldi stanziati nella scorsa manovra di Bilancio. Va sottolineato anche come gli aumenti dovrebbero partire dal 1° gennaio scorso, con un effetto retroattivo che rende ancora meno sufficienti le cifre.

La linea direttrice del Governo, che poi è figlia dell’atto di indirizzo con il quale la Madia ha incaricato l’Aran di trattare con i sindacati resta sempre quella tanto contestata da lavoratori e loro rappresentanti. Si dovrebbe partire con aumenti nell’ordine dei 30 euro a testa, per poi arrivare gradualmente alle 85 euro, sempre lorde nel 2019. Serviranno altri soldi che probabilmente arriveranno con la manovra del 2018, perché promesse di decreti ed atti singoli che coprano questa mancanza sono poco realistici.

Probabile anche che gli aumenti vengano scaglionati come indicato sempre dalla Madia e sempre nell’atto di indirizzo. Prima i dipendenti con redditi più bassi, quelli che hanno subito secondo il Governo, maggiormente il blocco. Adesso c’è da valutare se lo scaglionamento sia sulle tempistiche nell’erogazione degli aumenti o nelle cifre da erogare in più ad ogni lavoratore.