Già si parla di salasso per i pensionati quando si giudica ciò che è stato fatto nella Legge di Bilancio al capitolo previdenziale. Si attendevano misure che consentivano uscite agevolate per le Pensioni, ritocchi in riduzione per quanto concerne i pesanti requisiti di accesso alla quiescenza. Dopo gli innumerevoli incontri tra Governo e sindacati iniziati nel 2015 per discutere di Ape o Quota 41 e proseguiti fino ai giorni che hanno preceduto l’uscita della bozza di manovra finanziaria, con la pensione di garanzia ai giovani, i lavori di cura delle lavoratrici e tutta la cosiddetta fase 2 di riforma, quanto è compreso nel pacchetto pensioni della Legge di Bilancio per l’anno prossimo è insufficiente.

Non solo non si è fatto nulla di migliorativo se si escludono mini interventi sui lavori gravosi, ma non è stato possibile nemmeno evitare il peggioramento della situazione.

Arrivano i previsti inasprimenti

Anche durante la trattazione degli emendamenti in Senato ed alla Camera si è discusso molto sull’aspettativa di vita e sull’aumento dell’età pensionabile. Nelle aule Parlamentari sono entrate proposte correttive della manovra che rimarcavano quanto richiesto dai sindacati negli incontri con i rappresentanti dell’Esecutivo, cioè il rimandare la decisione sull’aumento dell’età pensionabile al 2018. Il Governo invece ha emanato il decreto che di fatto farà scattare a 67 anni l’età utile per la pensione di vecchiaia per tutti i lavoratori nel 2019.

Un atto che proviene ancora dalla riforma Fornero, quella che tutti vogliono cancellare ma che evidentemente non si riesce nemmeno a scalfire. L’Istat ha certificato come la vita media degli italiani sia aumentata e pertanto nel 2019 le pensioni di vecchiaia per uomini, donne e perfino la pensione sociale dovrebbe scattare a 67 anni con 20 anni di contributi.

Si tratta di 5 mesi in più rispetto a quanto chiesto ai lavoratori per la stessa pensione fino al 31 dicembre prossimo. Anche le pensioni di anzianità, o pensioni anticipate come le ha chiamate la Fornero quando di fatto abolì le precedenti subiranno lo stesso aumento. Si passerà a 43 anni e 3 mesi di contributi necessari per percepire la pensione anticipata scollegata da ogni requisiti anagrafico, proprio come la pensione di anzianità di una volta.

Per le donne la pensione anticipata resta più favorevole, perché si continuerà a centrare un anno prima dei colleghi maschi, cioè a 42 anni e 3 mesi.

Anche il 2018 non è esente da inasprimenti

Se la pensione anticipata resta con soglie differenti tra uomini e donne e più favorevoli per queste ultime, non è così per la pensione di vecchiaia. Nessuna differenza di genere resterà attiva nel 2018 in funzione dei requisiti per la pensione di vecchiaia. Se fino a tutto il 2017 alle lavoratrici l’età pensionabile era di 65 anni e 7 mesi di età, nel 2018 salirà ad “altezza uomo”, cioè a 67 anni. Per alcune di loro, come quelle nate nel 1953 di colpo si perderanno un anno e 10 mesi di pensione. Un pesante fardello che si collega a quanto subito dalle nate nel 1952 che furono tra le più vessate dalla riforma Fornero.

L’equiparazione di genere arriva a conclusione, perché si tratta dell’ennesimo atto in questa direzione che prendono i nostri governanti. Dopo la cancellazione delle differenze nel Pubblico Impiego arriva quella per tutte le altre generalità di lavoratori. In definitiva, tutto peggiorerà sensibilmente per i lavoratori in ottica pensioni perché sconti, tagli di requisiti e flessibilità sono argomenti che le casse dello Stato, l’Inps e la sostenibilità del sistema previdenziale non possono permettersi, come più volte ribadito da Corte dei Conti, Ragioneria di Stato ed altri tecnici del Governo e delle istituzioni.