Che venga emanato un decreto legge o un disegno di legge, una cosa ormai chiara è che quota 100 schiuderà i battenti nel 2019, probabilmente a febbraio come annunciato dal Vice Premier Luigi Di Maio. Sulla misura c’è poco da fare ancora, con le soglie minime ormai prefissate che restano i 62 anni di età anagrafica da raggiungere ed i 38 anni di contributi minimi da accumulare. Anche il meccanismo ormai è altrettanto chiaro, con le finestre mobili di uscita, probabilmente trimestrali per i lavoratori del settore privato e semestrali per quelli del Pubblico Impiego.

I discorsi su quota 100 si spostano sul calcolo della convenienza a sfruttare la misura per i lavoratori. Prima di tutto va ribadito il concetto che quota 100 è misura opzionale, cioè a libera scelta del lavoratore che una volta andato in pensione, si troverà a non poter cumulare l’assegno pensionistico preso in anticipo con quota 100, con eventuali altri redditi da lavoro (la soglia dovrebbe essere pari a 5.000 euro). Quota 100 conviene per i lavoratori? E se sì, chi sono i lavoratori che trarrebbero vantaggio da quota 100? Su questa materia ci sono posizioni discordanti, con l’Ufficio Parlamentare di Bilancio che ha messo in luce le pesanti penalità di assegno cui andrebbero incontro i pensionati, ma uno studio del quotidiano “Il Sole 24 Ore” spinge a considerare la quota 100 conveniente più o meno per tutti.

Pensioni inferiori a quelle della Fornero

Andare in pensione prima, come è naturale che sia, comporta una riduzione della pensione che si va a percepire perché si versano meno contributi previdenziali. Uscire dal lavoro a 62, come prevede la quota 100 per il massimo anticipo, è indubbio che sia diverso dal lavorare fino a 67 anni.

Cinque anni in meno di contributi versati incidono per forza di cose sul calcolo della pensione e come sottolineato dalla relazione tecnica dell’UPB in audizione al Senato, la perdita è variabile tra il 5 ed il 35%, in base agli anni di anticipo di pensione, cioè tra i 62 ed i 66. Un conto è versare 5 anni in meno di contributi ed un conto versarne uno solo in meno.

Alla fine ci si guadagna

Nel calcolo delle penalità messo in luce dall’UPB si paragona la pensione con quota 100 a quella di vecchiaia. In pratica, per la penalizzazione massima in capo ad un soggetto di 62 anni di età con già 38 di contributi, si paragona la pensione con quota 100 a quella di vecchiaia che lo stesso soggetto avrebbe percepito a 67 anni, con 43 anni di contributi. Un fattore poco considerato è che prendere una pensione prima e con età più giovane, significa probabilmente, percepirla per più anni. Inoltre, il fatto che si esca prima produce immediatamente un guadagno in termini di contributi versati, perché si vanno a risparmiare versamenti previdenziali per 5 anni. Il quotidiano economico-finanziario, le cui stime sono state fatte avvalendosi dell’aiuto di una società informatica esperta in database previdenziali “Epheso”, ha prodotto un esempio relativo ad un impiegato che a gennaio 2019 compirà 62 anni di età e che alla stessa data ha racimolato 38 anni di contributi.

Secondo il giornale, da circa 16.200 euro di pensione netta che lo stesso andrebbe a percepire restando al lavoro fino a 67 anni (uscendo nel 2024), con la quota 100 prenderà poco meno di 13.000 euro. Nel lungo termine i contributi in meno versati incidono sulla convenienza della misura. Nell’esempio l’impiegato nel lungo termine, cioè fino ai 90 anni di età, si troverà ad aver risparmiato di contribuzione versata circa 34.000 euro. Un discorso che assume ancora più rilevanza per gli autonomi, i cui versamenti previdenziali sono da pagare di tasca propria non avendo datori di lavoro che fungono da sostituti. Anche se è un dato soggettivo e non calcolabile perché non si può sapere fino a che età si potrà percepire una pensione perché fattore collegato alla salute di un lavoratore, se i dati della vita media degli italiani sono quelli dell’Istat, che segnano una crescita, appare evidente che alla lunga la pensione sarà percepita per 5 anni in più.