Anche questo governo tratta i pensionati come un bancomat, questa la dichiarazione di Giuseppe Di Girolamo, segretario della Spi del Veneto, la branca della Cgil che si occupa di Pensioni. Torna di moda il binomio bancomat-pensioni, perché stanno arrivando ai pensionati le lettere relative ai tagli per chi riceve una pensione a partire da 1.537 euro lordi al mese, cioè più o meno 1.200 euro netti. Si tratta dei tagli derivanti dal cambiamento del meccanismo di indicizzazione delle pensioni al tasso di inflazione dell’1,1% come stabilito dall’Istat.

Per questi pensionati la perequazione o adeguamento al costo della vita che dir si voglia, sarà inferiore rispetto a quanto era programmato per l’anno corrente. La novità sortirà i suoi primi effetti già con il rateo di pensione di aprile, ma la decorrenza di tutto ciò partirà dal 1° gennaio. La conseguenza è che oltre alla ormai imminente riduzione della pensione, ai pensionati verrà chiesta la restituzione delle somme in più percepite per i mesi di gennaio, febbraio e marzo 2019. Se ormai la macchina operativa del taglio è già partita, quella degli arretrati con relativo conguaglio a sfavore dei pensionati potrebbe slittare per evidenti questioni di gradimento elettorale del governo.

Un rinvio conveniente per il governo

Il taglio della rivalutazione delle pensioni è una decisione che l’esecutivo ha preso nella manovra finanziaria di fine 2018. Proprio l’approvazione della legge di Bilancio sopraggiunta alla vigilia del 31 dicembre scorso ha per così dire provocato il debito che adesso hanno maturato i pensionati.

L’Inps ha erogato per il primo trimestre 2019 assegni di pensione indicizzati in base al sistema a 3 scaglioni vigente fino al 31 dicembre 2018. Non è stato possibile recepire prima le novità e pertanto il via all’applicazione del nuovo sistema a 7 fasce partirà dal mese di aprile con effetto retroattivo da gennaio. Il governo quindi ha proseguito per la sua strada, nonostante le proteste delle parti sociali e dei pensionati e nonostante la manifestazione unitaria di Roma dello scorso febbraio.

Da aprile quindi, i pensionati inizieranno a percepire l’assegno davvero spettante per l’anno 2019, con la giusta rivalutazione. Il conguaglio invece verrà recuperato sui ratei delle pensioni dei mesi futuri. Notizia di giornata, confermata da fonti interne all’Inps è che il conguaglio dovrebbe essere prelevato dalle pensioni solo dopo il 26 maggio e cioè dopo le elezioni europee. Evidente l’interesse a rimandare l’impopolare conguaglio da parte del governo per tenere buono l’elettorato.

Le riduzioni di assegno da aprile

Come riporta il quotidiano “La Stampa” di Torino, l’argomento tagli e perequazione è l’oggetto di una interrogazione parlamentare urgente presentata dal Pd, con primi firmatari Nannicini e Gribaudo.

Secondo gli esponenti del Partito Democratico ritardare il conguaglio non serve a nulla perché trattasi di soldi che prima o poi i pensionati dovranno restituire. Il rinvio allo scopo di salvaguardare il gradimento dei partiti di maggioranza in vista della nuova tornata elettorale non farà altro che accrescere l’importo del conguaglio da restituire. La questione è importante anche se sulle pensioni più vicine al limite minimo a partire dal quale è imposto il taglio, cioè intorno a 1.200 euro netti al mese, riduzione e conguagli saranno di pochi euro.

Secondo la relazione tecnica che ha accompagnato la legge di Bilancio questo blocco riguarderà il 58% degli assegni. Da gennaio 2019 a tutto il 2021, cioè durante il triennio di validità del blocco, dovrebbero essere oltre 3,5 miliardi i risparmi che questa operazione porterà nelle casse dello Stato.

Molti soldi quindi in ballo, con pensionati che subiranno tagli tanto maggiori quanto maggiore è la pensione che incassano. Basti pensare che, come riporta La Stampa, su pensioni nette di poco superiori a 2.000 euro, il taglio produrrà una perdita di circa 170 euro all’anno per questi pensionati.