Pier Paolo Baretta, attuale Sottosegretario di Stato presso il Ministero dell'Economia e delle Finanze, è ricordato soprattutto perché insieme a Cesare Damiano ed a Luisa Gnecchi anni fa presentò il Ddl 857, la famosa riforma previdenziale che poi fu accantonata per evidenti motivi di bilancio. Adesso il nome di Baretta torna di attualità perché è stato ospite da Cesare Damiano per una intervista/dibattito andata in onda su "Rete Sole" e che ora è online sul sito ufficiale dell'ex Presidente della Commissione Lavoro della Camera cesaredamiano.org.
Nell'intervista il tema principale è stato quello delle Pensioni. Baretta ha esposto il suo pensiero, con la sua idea di riforma del sistema che parte sempre dalla pensione a 63 anni con 35 di contributi come previsto dal Ddl 857, ma con alcuni correttivi dettati dal fatto che adesso i tempi sono cambiati.
Ok il Ddl 857, ma senza penalizzazioni di assegno
Il fattore da cui si parte è sempre quota 100. Damiano ha prima di tutto elencato le evidenti problematiche che lascerà nel settore quota 100, una misura che secondo l'esponente del PD ed ex Ministro non serve per chi ha buchi e vuoti contributivi perché ha avuto carriere discontinue. Secondo Damiano e Baretta, la soluzione di pensione anticipata contenuta nel loro Ddl è ancora fattibile.
Su questo però, il sottosegretario Baretta sottolinea come ci sia la necessità di correggere qualcosa. Ok dunque alla pensione a 63 anni (ma anche a 62), purché non vengano previste penalizzazioni di assegno per quanti sceglieranno di lasciare il lavoro prima dei 67 anni di età.
Infatti, la proposta di pensione anticipata contenuta nella loro proposta di riforma prevedeva una penalizzazione di assegno del 2% per ogni anno di anticipo rispetto all'età pensionabile della pensione di vecchiaia.
Uscita a 63 anni che in parole povere avrebbe cagionato per i pensionati una perdita in termini di rateo di pensione pari all'8% per coloro che avessero deciso di sfruttare il massimo anticipo.
Dal momento che ormai il sistema ha svoltato verso il metodo contributivo, secondo Baretta la penalizzazione di assegno non è più attuale.
Il sistema contributivo funziona come una assicurazione o un conto corrente, perché si riceve di pensione il corrispettivo di ciò che si è versato. Ecco perché, secondo il sottosegretario, uscire prima significa versare meno contributi e per forza di cose prendere meno di pensione. Inutile quindi prevedere ulteriori tagli e penalizzazioni collegate all'ammontare dell'anticipo ottenuto in termini di uscita anticipata dal lavoro.
Sono i lavoratori e le famiglie a dover decidere
Una volta completati i 35 anni di contributi, con 62 o 63 anni di età, un lavoratore dovrebbe essere libero di scegliere se restare al lavoro o andare in pensione. Deve essere il lavoratore stesso, insieme alla sua famiglia, a decidere, in base alle esigenze familiari tenendo conto del fatto che uscire prima significa percepire una pensione più bassa per via del minor numero di anni di contributi versati.
In sostanza nessuna penalizzazione di assegno perché il 2% di taglio per anno di anticipo previsto dal Ddl 857 era dovuto al fatto che la proposta era nata in un periodo in cui le pensioni erano calcolate nel sistema misto.
Una pensione contributiva a 63 anni esiste già nel nostro ordinamento, ma prevede che possano accedervi solo lavoratori che riescono ad ottenere con questa misura un assegno previdenziale di almeno 1.400 euro lordi al mese. Un vincolo che secondo Baretta andrebbe immediatamente eliminato, perché la scelta di lasciare il lavoro prima, nel sistema contributivo, deve essere lasciata libera ad ogni famiglia e ad ogni lavoratore. Una proposta che Baretta ha messo quindi in campo e come lui stesso ha sottolineato potrebbe tornare utile in vista della riapertura dei tavoli di trattativa tra governo e sindacati nel 2020.
Anche per il sottosegretario infatti occorre cercare una soluzione il prima possibile allo scalone di oltre 5 anni che nel 2022 lascerà in campo quota 100, che è destinata a morire il 31 dicembre 2021.