Dopo lo stallo dovuto all'emergenza epidemiologica, con il governo inevitabilmente impegnato su altri campi, nei prossimi giorni riprenderà il confronto tra esecutivo e sindacati in materia previdenziale. L'argomento Pensioni torna a essere di attualità, dal momento che si avvicina il varo della legge di bilancio e come di consueto, nella manovra finanziaria di fine anno, ci sarà un pacchetto pensioni. Il tavolo riapre con il consueto problema, cioè la riforma del sistema pensionistico e ciò che accadrà nel 2022, quando sparendo quota 100 ci sarà da evitare lo scalone di 5 anni a carico di chi non avrà la fortuna di rientrare in questa misura.

I temi caldi sono la proroga di Ape sociale e quella di opzione donna, ma in base alle richieste dei sindacati anche la flessibilità in uscita resta argomento centrale. Ecco come si riparte e cosa si ipotizza possa accadere nel sistema previdenziale in base alle ultime indiscrezioni.

Lo scalone da evitare

Il problema di fondo di tutto il sistema, che pare sarà affrontato già nel primo semestre del 2021, resta lo scalone di cinque anni che impatterà sul sistema una volta che quota 100 finirà il suo triennio di sperimentazione. Infatti, la misura terminerà di funzionare il 31 dicembre 2021 e chi non avrà la fortuna di avere almeno 62 anni di età e 38 anni di contribuzione versata entro quella data per accedere alla pensione dovrà aspettare fino a cinque anni.

Ad oggi, senza interventi normativi, il post quota 100 significa ritorno alle soglie di uscita previste dalla legge Fornero, cioè pensione di vecchiaia a 67 anni di età e pensione anticipata con 42 anni e 10 mesi di contributi versati (un anno in meno per le donne). In entrambi i casi, i lavoratori rispetto a quota 100 si trovano a dover lavorare o quanto meno aspettare almeno cinque anni in più per uscire dal mondo del lavoro rispetto a quelli che riusciranno a sfruttare lo scivolo di quota 100 entro la fine del 2021.

Ecco perché inevitabilmente è sulla flessibilità che si gioca la partita più importante al tavolo tra sindacati e governo. Le richieste delle parti sociali restano la quota 41 per tutti e la flessibilità dai 62 anni di età. C'è da fare i conti anche con l'occhio vigile della UE, che aumenterà i controlli sull'operato del governo già con la imminente legge di bilancio per via dell'accesso al recovery fund.

L'incontro fissato per il 16 settembre è segno indelebile che occorre fare presto per inserire nella prossima manovra di bilanci una legge delega per apportare le modifiche al sistema pensionistico già a inizio 2021.

Flessibilità in uscita a 62 o 63 anni, ma condizionata

Il ricorso alle uscite flessibili sembra la via maestra per evitare lo scalone post quota 100. Se non si potrà assecondare appieno le richieste dei sindacati con una uscita flessibile dai 62 anni di età, le ultime ipotesi dicono che potrebbe essere a 63 anni l'età prescelta per iniziare a consentire ai lavoratori di andare in pensione. Naturalmente si parla di uscite con penalità crescenti in base agli anni di anticipo rispetto ai 67 anni della pensione di vecchiaia.

Il taglio di assegno per chi esce prima dal lavoro è una cosa che sembra trovare l'avallo anche del ministero del lavoro. Si discuterà anche se portare la soglia dei contributi minimi necessari a 36 anni o se lasciare intatto il limite dei 38 anni di quota 100. Tornando alle penalità, si parla di agganciare le pensioni al sistema contributivo puro, che è già una enorme penalità per quanti hanno molti anni di versamenti nel sistema misto e retributivo (antecedenti il 1996). Dal punto di vista percentuale, l'ipotesi più attuale è quella di un taglio tra il 2,8 e il 3% per ogni anno di anticipo, che significa, se l'età di uscita resterà a 62 anni, tagli fino al 15% di pensione. Si tratta di una operazione che riguarda le pensioni future, cioè le uscite a partire da gennaio 2022.

Nella prossima manovra finanziaria, infatti, difficilmente troveranno posto queste iniziative. Il prossimo pacchetto previdenziale potrebbe avere più facilmente solo alcune proroghe alle misure già in vigore oggi che scadranno a fine 2020 come l'Ape sociale e opzione donna. Un modo per raccordare il sistema attuale alla fase di funzionamento di quota 100, magari rafforzando le platee dei potenziali beneficiari dell'anticipo pensionistico sociale (estendendo alle categorie dei lavori gravosi per esempio) e dello scivolo contributivo per le lavoratrici.