Bernardo Caprotti, il papà di Esselunga, mancato due giorni or sono, non finisce di stupirci e questa volta per aver contribuito alla realizzazione di un'opera molto importante che rende i milanesi molto orgogliosi: "Il Memorale della Shoah".Ricordiamo che tra il 1943 e il 1945 dalla Stazione Centrale di Milano, precisamente dal famigerato Binario 21 (un binario sotterraneo nascosto alla vista degli altri passeggeri), partirono migliaia di ebrei e deportati politicidestinati ai campi di sterminio nazisti: il Memoriale della Shoah è stato realizzato proprio li, in corrispondenza del Binario 21.
Una dedica significativa
Qualche tempo fa venne inaugurato al Memoriale uno Spazio Mostre intitolato proprio a Bernardo Caprotti e le ragioni di questa scelta ce le spiega Roberto Jarach, vicepresidente della Fondazione per il Memoriale: "Questa grande opera è nata grazie alla generosità di Caprotti, che inizialmente ci ha aiutato con una cospicua donazione, a raggiungere il 30% dei versamenti iniziali dovuti.Il Patron di Esselunga non si aspettava questo gesto ma si emozionò molto e ne fu contento."
Quale è il motivo per cui un manager tanto determinato, che lottato per il successo della sua impresa contro tutto e tutti, ha deciso di contribuire alla realizzazione del Memoriale della Shoah? Per scoprirlo occorre andare indietro nel tempo, negli anni tragici della guerra, in quegli anni accaddero fatti tragici e il novantenne Caprotti, quei fatti li aveva vissuti in prima persona.
Le ragioni del cuore
La sua non era una famiglia ebrea ma suo padre, imprenditore nel campo del cotone, di amici ebrei ne aveva tanti: imprenditori, agenti, commercianti. Nella vita del piccolo Bernardole persone di religione ebraica erano di casa e da quel binario 21 della Stazione Centrale ne erano partite molte, padri e madri di suoi coetanei che non avevano più fatto ritorno.
Fu l'incontro con Liliana Segre, deportata ad Auschwitz-Birkenau e che perorava la costruzione del Memoriale, fu determinante. La Segre è stata una dei 25 bambini sopravvissuti fra i 776 piccoli italiani deportati ad Auschwitz.
Caprotti ammirava molto Liliana per la sua umanità e per il suo coraggio: passarono molti pomeriggi a chiacchierare, a ricordare e scoprirono nel loro passato sconosciute assonanze, ad esempio che entrambi i loro padri erano "ragazzi del 99" e che si conoscevano, essendo tutti e due operatori nel settore del cotone. La drammatica differenza su marcata proprio dal Binario 21, il padre di Caprotti tornò a casa mentre il papà di Liliana Segre salì su quel treno e non tornò mai più.